Shemà. Come l’Addolorata soffriamo con chi soffre, amiamo dimenticando noi stessi
Shemà (in ebraico “Ascolta”), un commento al Vangelo del Giorno di Giuliva Di Berardino.
Anche a noi, uomini e donne del terzo millennio, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “Shemà”. Ascoltiamolo!
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IL COMMENTO TESTUALE
Oggi celebriamo la memoria obbligatoria di Maria Addolorata.
Nel Vangelo meditiamo la cornice affettiva che, nell’immenso dolore, si stringe a Gesù: Maria, la madre, Maria di Cleopa, Maria di Magadala e il discepolo che egli amava. C’è spazio sotto la croce per il discepolo che ama, che si sente amato da Gesù.
C’è spazio sotto la croce per le donne che hanno sostenuto Gesù nella sua missione e nella sua predicazione, ma soprattutto c’è spazio per la madre che, in questo contesto di immenso dolore, ricopre un ruolo primario.
Quando qualcuno ci riserva uno spazio nel momento del suo dolore, se ci pensiamo bene, ci offre un posto privilegiato nella sua vita, soprattutto quando, come nel caso di Gesù, la presenza di queste persone è assolutamente libera.
Ecco dunque che, più che segno di partecipazione al dolore, l’esserci di Maria e delle altre persone in quel momento così assurdo di dolore, non è masochismo ma confidenza nell’amore.
Il Vangelo di Giovanni ce lo mostra, perché in questo quadro confidenziale e amante è la presenza di Maria, la madre che è maggiormente chiamata in questione. E, se Gesù, quando parla con la madre, si rivolge a lei chiamandola “donna”, non è così quando si rivolge al discepolo.
Questo significa che la maternità di Maria ha senso non solo in relazione a Gesù, ma in relazione a ciascuno di noi!
Significa che Maria non ha finito di vivere come madre, pur vivendo il più grande dei dolori in quel momento.
La grandezza e la ricchezza della liturgia di oggi, e allo stesso tempo la grazia che oggi possiamo chiedere a Maria, è quella di avere il coraggio di vivere il dolore o il fallimento come l’ha vissuto lei, con amore, senza lasciarci prendere dallo scoraggiamento o dalla disperazione ma accogliendo una nuova speranza. Maria nel dolore non ha finito la sua missione, anzi, ha realizzato pienamente la sua maternità perché, se suo figlio la chiamava “donna”, noi l’avremmo sempre chiamata “madre”. Per sempre!
Ci doni allora, lei, la Madre Addolorata, di saper sperare sempre perché il Signore non ci toglie mai quello che noi siamo per chiamata, ma al contrario porta tutto a maturazione, a compimento. La chiamata di Maria è quella di essere nostra madre e la nostra è quella di essere figli. Allora oggi contempliamo Maria Addolorata, madre che ci mostra il grande amore di Gesù che non ci lascia mai nella disperazione, perché Lui sa cos’è l’amore, Lui è l’Amore che ci realizza nell’amore!
Accogliamo la gioia di essere amati così, come Maria: non solo fino alla fine, ma oltre la fine! Preghiamo insieme al Salmista il Salmo 30, che oggi ascolteremo alla messa: Quanto è grande la tua bontà, Signore! La riservi per coloro che ti temono, la dispensi, davanti ai figli dell’uomo, a chi in te si rifugia.
Buona giornata!
IL COMMENTO IN VIDEO: https://www.youtube.com/channel/UCE_5qoPuQY7HPFA-gS9ad1g/videos
GIULIVA DI BERARDINO*
* Giuliva Di Berardino, laureata in Lettere Classiche a Roma, ha poi conseguito il Baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma e la “Licenza ad docendum” in teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Dopo aver vissuto alcuni anni in Francia,insegna danza di lode e di adorazione. Consacrata nell’Ordo Virginum della diocesi di Verona, mette a servizio della chiesa la sua esperienza nella danza biblica e nella preghiera giudaico-cristiana. In seguito ai diversi interventi sulla teologia del corpo e della danza e ai numerosi laboratori svolti in Italia e in Europa, ha pubblicato il libro “Danzare la Misericordia” (ed. dell’Immacolata), in cui descrive una vera e propria spiritualità della danza di lode, a partire dalla Bibbia. Insegnante Religione Cattolica nella scuola pubblica ed è Pedagogista del movimento e liturgista.