Il vescovo Zenti: “l’aborto è il delitto più feroce e atroce che si possa compiere”
di Mons. Giuseppe Zenti
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PAROLE CHIARE SULL’ABORTO
Mentre tutti i cittadini sono sviati e distratti nelle ferie o segnati da paura per il perdurare, anzi, per il rincrudimento del Covid-19 o concentrati nelle angosce per l’occupazione, le Commissioni parlamentari lavorano assiduamente per preparare al Governo decreti legge, non solo per quanto attiene la crisi sanitaria ed economica, ma anche in materia delicatissima come quella sul gender, su cui già siamo intervenuti, con l’arrogante tentativo di equiparare ogni forma di convivenza con la famiglia istituzione.
L’intervento più recente riguarda la pillola abortiva Ru486 da assumere in day hospital fino a 63 giorni di gravidanza, fino cioè alla nona settimana di gravidanza (!).
Si tratta di un aborto farmacologico. Praticamente fai da te: somministrato o in consultorio o in ambulatorio. E la donna dopo mezz’ora potrà tornare a casa! Una banalizzazione allucinante del delitto più feroce e atroce che una persona umana possa compiere.
Non si fa alcun cenno al dramma interiore che prova una donna sana di mente, che sa di aver distrutto una parte di se stessa, dopo averla chiamata un giorno al banchetto della vita! Quante donne in crisi psicologica anche per soli aborti spontanei!
Quelle creature sono pur sempre carne della loro carne e sangue del loro sangue. La disapprovazione e lo sconcerto manifestati dai Vescovi italiani su Avvenire ricordando che ora le donne sono ancor meno tutelate, è passato sotto traccia sulle testate nazionali. Complici e conniventi con una cultura di morte.
In pratica, si sta anestetizzando la coscienza collettiva nei riguardi di diritti inalienabili di quanti, nel grembo della madre, già esseri umani, persone, si trovano nella fase della vita uterina in cui tutti noi, viventi, un giorno ci siamo trovati. A noi è stato dato il diritto di venire alla luce. A loro no! Per quale loro colpa?
Non c’è dubbio che esistono alternative serie all’aborto procurato. Se la nostra fosse una società davvero civile, per ogni creatura umana abortita si dovrebbe sentire la stessa sofferenza e incrementare la stessa solidarietà sociale e psicologica che l’Italia intera ha mostrato nei confronti del piccolo Gioele!
Il Ministero della Salute, disinvoltamente e cinicamente, presenta la cosa come una normale evoluzione e un auspicato compimento della legge 194, approvata a suo tempo, pur con sconcerto delle coscienze più sensibili, come legge a tutela della maternità. Dunque in favore della vita, per far evitare gli aborti clandestini.
Non è certo un dato da sottovalutare comunque l’altissima percentuale di ginecologi, anche di matrice non cattolica, che fanno l’obiezione di coscienza, pur rischiando da parte dello Stato delle sanzioni. Uno Stato che affossa il diritto di obiezione di coscienza è sull’orlo del collasso valoriale.
Come vescovo della Diocesi di san Zeno, detta anche di Verona, ho il compito e il dovere di manifestare la verità contenuta nella Parola di Dio, autenticamente interpretta dal Magistero della Chiesa, pure in materia di antropologia, nel suo tratto di Dottrina sociale della Chiesa. Chiariamo anzitutto la terminologia.
L’aborto non è un diritto, ma un delitto. Il Concilio Vaticano II lo definisce un crimine nefando! (GS 51). Chi dà la patente di civiltà avanzata alla pratica dell’aborto contraddice i principi fondamentali, etici, della civiltà.
Conosciamo le pseudo motivazioni della legge che autorizza la pratica dell’aborto. È la messa in discussione del concepito come essere umano persona. Lo si guarda con gli occhi della scienza: un grumolo di cellule! Poi un feto!
Ci si rifiuta di considerare quella realtà che sta crescendo nel grembo della madre in modo armonioso, divino, soggetto singolo segnato da una identità non clonabile.
Siamo di fronte a una delle espressioni più assurde della crisi del pensiero, che ha perso il senso stesso dell’essere umano come essere-persona, dal concepimento all’ultimo respiro naturale. Questi crimini abominevoli stigmatizzano la nostra società come barbara. E lo Stato che la interpreta con le sue leggi si mostra suicida, specialmente se parliamo dell’Italia, che nonostante la sua crescita zero, in vista di un suo futuro di speranza, avrebbe bisogno invece di un incremento di nascite.
Mentre ciò non accade anche per il fatto che i chiamati alla vita, con il diritto di venire alla luce, nel volgere di alcune settimane vengono praticamente dimezzati. E sono già cittadini, benché ancora non di anagrafe.
Di fatto, da aborto terapeutico, eugenetico se il soggetto è sospetto di malformazioni e disabilità, e già questo fatto è inumano, si è passati oltre, all’aborto di opportunità, qualora il nascituro sia indesiderato e motivo di incomodo. Facendo pesare tutto soltanto sulla donna genitrice!
Approvare la teoria del gender, non come puro rispetto per ogni persona, che un cristiano non esita mai ad assicurare, ma come alterazione della natura umana e dello stesso matrimonio; approvare l’aborto, fino a banalizzarlo come si sta propugnando, è indegno dell’essere cittadino di una società civile democratica. Ma sono entrambi del tutto assurdi, con accentuazione nei riguardi dell’aborto, per un cattolico. Chi sostiene queste posizioni non può dirsi cattolico. Si contraddice in terminis. Di conseguenza, se a un cattolico è lecito militare in qualsiasi partito costituzionale, mai gli è lecito tradire la sua coscienza di cattolico, illuminata dalla Parola di Dio, autenticamente interpretata dal Magistero, vera e certa.
Come vescovo non posso non contare, anche in questo ambito di frontiera dell’etica antropologica, sul buon senso di tutti i fedeli che sono stati affidati al mio ministero pastorale. E per loro prego mattina e sera, assicurando una speciale benedizione. In particolare per i politici. Perché nell’ambito legislativo usino almeno buon senso.
*Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona. Da “Verona Fedele” (settimanale diocesano)