Denatalità, calo demografico e i “nipotini” di Malthus che diffondono paura

Denatalità, calo demografico e i “nipotini” di Malthus che diffondono paura

di Pietro Licciardi

I CATASTROFISTI

I catastrofisti del global warming non demordono e continuano imperterriti ad agitare lo spettro del riscaldamento globale. I nipotini di Thomas Robert Malthus, economista e demografo inglese vissuto tra il 1766 e il 1834, continuano ad agitare l’altro spettro, quello della sovrappopolazione mondiale, che prima o poi scatenerà carestie e guerre per l’accaparramento delle sempre più scarse materie prime. Si tratta però di ideologie – quella climatica e maltusiana – che, come ogni ideologia, non reggono il confronto con i fatti.

Già trent’anni fa gli “scienziati” avvertivano che avevamo solo dieci anni di tempo per correre ai ripari e ridurre le emissioni di CO2, responsabile, secondo loro, degli sconvolgimenti climatici eppure, a tempo scaduto non solo abbiamo avuto un maggio da manuale, piovoso e variabile come ogni primavera che si rispetti, ma anche la quantità dei ghiacci in Antartico è aumentata.

Idem per la popolazione. Abbiamo superato da un pezzo la soglia del 2000, anno in cui, secondo quanto previsto dal Club di Roma, si sarebbe dovuto verificare il collasso demografico ed energetico, con l’esaurimento delle scorte, comprese quelle petrolifere, e nessuna carestia è all’orizzonte. Anzi, spulciando i dati periodicamente resi noti dalla FAO dal 1970 ad oggi la disponibilità di cibo procapite è decisamente aumentata in tutto il mondo – anche nei Paesi dell’Africa sub-sahariana – malgrado la popolazione sia più che raddoppiata: dai poco più di 3 miliardi e mezzo del 1970 agli attuali 7 miliardi e passa.Che dire poi dei Paesi che in questo inizio di secolo hanno registrato le migliori performance di crescita economica? Sono proprio quelli che negli scorsi decenni hanno avuto il loro maggior boom demografico, come Cina, India, Brasile e alcuni Paesi africani!

Ritornando all’Italia, nel 1970, quando ha cominciato a manifestarsi un calo del tasso di fecondità, il deficit pubblico nel nostro Paese era al 5,5 per cento del prodotto interno lordo; nel 1980 si è arrivati all’11 per cento; nel 1985 addirittura al 17,7 per cento, con l’astronomico debito di oltre 121.000 miliardi. Da allora, il trend è proseguito fino ad arrivare all’attuale 103,7 per cento, a “rischio bancarotta” come periodicamente ci informano televisioni e giornali.

Sarebbe proprio il ribaltamento del rapporto tra giovani e anziani una delle cause della messa in crisi dell’attuale welfare rendendolo non più sostenibile, poiché più anziani, più spesa pubblica quindi più tasse. Infattiin Italia secondo alcuni il peso delle imposte sul Pil in trentacinque anni sarebbe più che raddoppiato

La drammatica mancanza di figli è frutto di una cultura che dal dopoguerra a oggi ha fatto ampiamente breccia tra i ceti popolari, soprattutto grazie al potere di persuasione e condizionamento della tv, che ha riversato in tutte le case una cultura antinatalista. Cultura che ha avuto anche un notevole supporto tecnico-scientifico con la massiccia diffusione di strumenti anticoncezionali sempre più sofisticati e infallibili.Dal “cappuccio” di lattice, un po’ rozzo e soggetto a rotture, si è passati alla pillola, una sorta di castrazione chimica assai gettonata nonostante il “trascurabile” inconveniente di un consistente rischio tumori alla cervice uterina e al seno, come confermato da recenti studi. Ma la ricerca in questo campo prosegue senza sosta e si è arrivati alla cosiddetta pillola del giorno e dei cinque giorni dopo, già massicciamente in vendita in farmacia. È questa la “soluzione finale”: l’eliminazione certa di ogni possibile gravidanza con un aborto domestico, e clandestino.

Ovviamente tutto deve essere a spese della collettività, perché ormai abortire è stato elevato al rango di “diritto”. Così chi va a farsi curare una qualsiasi malattia il più delle volte deve svenarsi di ticket sanitari, mentre l’aborto, che è compiuto in seguito ad una scelta assolutamente privata e individuale della donna, è gratuito.

Insomma, non soltanto non si fanno più figli, ma un bel po’ di quelli che scampano alla contraccezione – come se l’essere umano fosse una malattia da prevenire – vengono ammazzati. E la voragine demografica si allarga.

Certo, per alcuni, come Emma Bonino, la soluzione è semplice: importare immigrati dall’Africa, ma non sembra una soluzione intelligente, considerati i problemi enormi di integrazione e il pericolo di scontro tra civiltà che comporterebbe la massiccia iniezione di persone provenienti da contesti e culture così diversi e talvolta opposti. È chiaro, se ci togliamo per un solo momento gli occhiali dell’ideologia, che è molto più pratico e praticabile fare in modo che gli italiani tornino a fare figli o quanto meno comincino ad ammazzarne meno.

Qui non vogliamo certo invocare l’apertura di uno scontro ideologico tra “valori” – ormai non più universalmente condivisi – anche se i dati ci dicono che più di due ginecologi su tre si rifiutano di praticare aborti, segno che la loro esperienza e formazione scientifica non lascia loro dubbi sulla reale natura di quel “grumo di cellule” che vive nel grembo materno -, però neppure ai laicisti deve sfuggire la pericolosa china sulla quale ci siamo avviati, quando ai diritti per così dire tradizionali, ovvero quelli riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, si è voluto affiancare o finanche sostituire certi altri “diritti” non più universali ma soggettivi. “Diritti” che ormai tendono a coincidere con i desideri individuali.Così grazie al “diritto” alla contraccezione e all’aborto stiamo minando alla radice la nostra stessa sopravvivenza come nazione e come popolo, accompagnando l’inevitabile estinzione con una prevedibile diffusione della miseria, lottando per conservare la nostra autonomia di fronte a masse crescenti di persone che vorranno entrare in Italia per riempire il vuoto che lasciamo.

Dunque, da qualche parte si deve cominciare e allora perché non farlo da ciò che fino ad oggi ha privato il Paese di sei milioni di cittadini, di consumatori, di lavoratori?

L’aborto è considerato un diritto individuale della donna? La donna deve avere il diritto di decidere in autonomia della sua vita, evitando i “traumi” psicologici e materiali di una gravidanza indesiderata? Di questo diritto deve disporre solo ed esclusivamente la donna, libera di abortire in completa autonomia senza “illecite” ingerenze di mariti, fidanzati, partner e finanche genitori? Bene, non lo mettiamo in dubbio.

Ma se l’aborto è un “diritto” individuale, da esercitarsi in piena autonomia, perché scaricarne i costi sulla collettività?Peraltro quando la collettività ne riporta un grave danno, in quanto viene privata di energie nuove, giovani; di persone che nascendo avrebbero dovuto concorrere al benessere comune con le proprie doti fisiche, intellettuali, morali e spirituali?

Ogni aborto costa circa 5mila euro e in Italia lo scorso anno sono state effettuate oltre 80 mila “interruzioni volontarie della gravidanza”. Ovvero un aggravio per il già disastrato servizio sanitario nazionale di circa 400 milioni di euro, 800 miliardi delle vecchie lire. Una cifra che potrebbe benissimo essere risparmiata in un momento in cui si invocano tagli alla spesa pubblica e crescenti risorse sono tolte al welfare.

Ma in questo modo si ricacciano nella clandestinità le donne che non possono pagarsi l’intervento, si obietterà. Si potrebbe però polemicamente controbattere che ogni anno, come ci ricordano le pagine di cronaca nera dei quotidiani, parecchie donne muoiono perché volendosi sottoporre a interventi di chirurgia estetica e non potendo pagare un chirurgo decente si rivolgono a degli incompetenti o addirittura a persone che esercitano clandestinamente questo tipo di interventi.

Dobbiamo allora avviare una campagna di “sensibilizzazione” per far emergere la chirurgia estetica dalla clandestinità regalando a spese del Servizio sanitario nazionale a tutte le donne che lo desiderano un intervento gratuito al seno o ai glutei?

Del resto avere un aspetto conforme ai canoni di bellezza correnti non può forse essere considerato anch’esso un diritto? Soprattutto in considerazione degli svantaggi che l’esserne privi procura in termini di benessere psicofisico e di opportunità anche lavorative.

Ma se la chirurgia estetica non è contemplata dal prontuario medico nazionale, perché deve esserlo l’aborto?

Ci sono molti motivi per non volere un figlio, ma ciò non significa che debba necessariamente essere ammazzato. Già oggi è possibile portare a termine la gravidanza e consegnare il figlio, senza neppure vederlo, alle strutture pubbliche per l’adozione. Chi insiste, pericolo di vita a parte, per abortire arrecando un grave danno alla collettività e pregiudicando il futuro di tutti è giusto che lo faccia a proprie spese.

Pietro Licciardi
in Corriere del Sud n. 4
anno XXVIII/19, p. 3

 

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