La bioeticista Giorgia Brambilla: “dobbiamo ricercare la verità, il fine ultimo, il senso della vita”
–
INTERVISTA ALLA BIOETICISTA GIORGIA BRAMBILLA
“Spesso le posizioni ‘anti vita’ passano attraverso la negazione della realtà, proprio da parte di chi ama definirsi ‘razionalista’. Pensiamo all’assoluzione di Marco Cappato”. Lo dice in questa intervista che ha rilasciato in esclusiva per Informazione Cattolica la bioeticista Giulia Brambilla. “Invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate come ragione strumentale al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere”.
Sposata, tre figli, Giorgia Brambilla è Docente stabile presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (APRA, dove svolge corsi di Teologia morale e di Bioetica e coordina il Corso di Laurea specialistica in Scienze Religiose del biennio pedagogico-didattico) e incaricato presso la Pontificia Università Lateranense.
Già Professoressa invitata all’Università “Sapienza” e Cultore della materia all’Università di Roma “Tor Vergata”, la Brambilla ha conseguito il Dottorato in Bioetica, la Licenza in Teologia con specializzazione in Morale sessuale e famigliare, la Laurea in Scienze Religiose e la Laurea in Ostetricia.
Consigliere dell’Istituto “Scienza e Fede”, la professoressa Giulia Brambilla collabora nell’ambito della formazione con varie associazioni cattoliche e prolife, svolgendo conferenze in tutta Italia. Scrive articoli di carattere bioetico per blog e riviste e cura le rubriche radio “Diario di Bioetica” su radioromalibera.org e “Preferisco il Paradiso: rubrica di Teologia morale” su radiobuonconsiglio.it.
Tra i suoi lavori di ricerca più importanti della dottoressa Giulia Brambilla si registrano il manuale “Sessualità, gender ed educazione” (Edizioni Scientifiche Italiane, 2015), che è stato tradotto in inglese e in coreano, la monografia “Uova d’oro. L’eugenetica, il grande affare della salute riproduttiva e la nuova bioschiavitù femminile” (Editori Riuniti University Press, 2016), che è stato catalogato nella Biblioteca del Congresso di Washington e il recente “Riscoprire la Bioetica: dai fatti ai fondamenti. Capire, formarsi, insegnare (Rubbettino, 2019). Proprio da quest’ultima fatica della dottoressa Brambilla iniziamo con le nostre domande.
Professoressa Brambilla, “Riscoprire la Bioetica: dai fatti ai fondamenti. Capire, formarsi, insegnare” (Rubbettino, 2019) è il suo ultimo libro. Cosa intende per “riscoprire”?
“In un tempo in cui l’ambito assiologico e ancor prima quello oggettivo e reale sono sovrastati dalla mutevolezza di quello culturale, emotivo e soggettivo, la Bioetica è quanto mai attuale, ma sembra aver perso la sua identità e il suo scopo e, a nostro giudizio, va riscoperta. E l’unico modo per farlo è ripartire da ciò che è valido sempre; non importa dove l’uomo si trovi, in quale epoca, in quale luogo geografico, in quale cultura sia innestato: il valore della vita umana, la sua dignità e la legge scritta da Dio nella sua natura rimangono intatti, anche se il sistema economico, la prassi medica, la legge o le ideologie tentano di sovvertirli. Riscoprire la Bioetica, da cui il titolo del libro, significa restituirle il suo ruolo educativo e di formazione delle coscienze: una roccaforte, costruita sulla ‘roccia’ del Magistero perenne della Chiesa, che forma e prepara chi combatte la ‘buona battaglia’ per la vita”.
Lei sostiene che la Bioetica “educhi” alla realtà: cosa vuol dire?
“Spesso le posizioni ‘anti vita’ passano attraverso la negazione della realtà, proprio da parte di chi ama definirsi ‘razionalista’. Pensiamo all’assoluzione di Marco Cappato nel Dicembre scorso: ‘il fatto non sussiste’, dichiarò la Corte. Ma questo non è vero. Il fatto, cioè, che qualcuno (Cappato) ha istigato e ‘aiutato’ un’altra persona (Fabio Antoniani, dj Fabo) a suicidarsi, sussiste eccome! Sussiste, perché realmente è avvenuto. Solo che, parallelamente a questo, il Diritto, in virtù della ‘forza’ e non del rispetto della verità, e dunque negando se stesso, ha deciso arbitrariamente che aiutare qualcuno a suicidarsi non sia reato. Così come tempo addietro ha deciso che è possibile interrompere la vita umana nel grembo materno. Ma questo non significa che quelle vite scompaiano per magia. Quelle vite c’erano e qualcuno deliberatamente le ha interrotte e il Diritto, invece, di punire chi ha compiuto questo atto abominevole lo ha depenalizzato e addirittura legalizzato. Ma ‘il fatto sussiste’, eccome! Le opinioni diverse dalla nostra sono rispettabili, a patto che siano opinioni, appunto. Le affermazioni basate sulla negazione della realtà come ad esempio quando si sostiene l’aborto dicendo che l’embrione non è un individuo umano, quindi negando l’evidenza, non sono opinioni. Se la Bioetica vuole assolvere il suo compito educativo deve partire da questo”.
La Bioetica a molti sembra una disciplina complicata da comprendere, ancor di più per il grande pubblico. È solo una nostra impressione o è vero che non si riesce a diffondere i contenuti bioetici alle masse?
“È vero che la Bioetica può sembrare di proprietà dei professionisti (medici, giuristi) e che fin dalle sue origini ha una strutturazione accademica, ma questo non significa che sia inaccessibile o di proprietà accademica e con questo manuale abbiamo cercato di dimostrarlo. Anzi, è proprio questa una delle novità del testo – rispetto a tanti altri manuali o libri di Bioetica: offrire una formazione di base ai formatori, ma anche ai non addetti ai lavori. Da qui, la scelta dei sottotitolo: capire, formarsi, insegnare. Il testo, infatti, si rivolge soprattutto a chi è in prima linea nell’ambito educativo o nel mondo pro-life; ma anche a chi semplicemente vuole capire più a fondo cosa si cela dietro ai fatti di attualità che toccano la vita umana. Questo senza nulla togliere, ovviamente, al ruolo importantissimo che la Bioetica ha sempre avuto e ha tuttora a fianco dei professionisti, tra tutti medici, giuristi e ricercatori di vari ambiti. Sembra arduo voler riunire discipline e professioni così diverse, ma in realtà, l’interdisciplinarietà è una caratteristica tipica della Bioetica: ogni tema, infatti, ha sempre al suo interno elementi scientifici, giuridici, filosofici, teologici ed etici. Fare Bioetica è imparare a guardare le questioni sotto i vari profili ed imparare, come in un labirinto, a riconoscere i punti nevralgici e la via per elaborare un giudizio etico. Se imparo questo, non importa se sono un insegnante e non un medico perché saprò dire se quella particolare tecnica di fecondazione artificiale si può fare oppure no dalle sue caratteristiche basilari; non importa se sono un medico e non un filosofo perché saprò riconoscere da alcuni elementi chiave che in quel caso clinico si confonde il dato sostanziale della vita umana con quello accidentale del suo presunto miglior interesse. Bioetica è, in un certo senso, abitudine a pensare, a mettere insieme gli ingranaggi che compongono le questioni etiche che come delle vere e proprie mine anti-uomo incontriamo ogni giorno”.
In un mondo che vive praticamente “Etsi Deus non daretur”, come proporre una Bioetica che considera il valore dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio?
“È un problema di tipo epistemologico, in realtà. Oggi più che mai dobbiamo superare il riduzionismo del concetto di ragione verificatosi nell’ambito del razionalismo illuministico e del positivismo scientista per il quale il sapere veramente ‘scientifico’ richiede l’imprimatur delle scienze empiriche. Questo particolare riduzionismo, che prende il nome di ‘scientismo’, rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico. In questo modo, tutto ciò che riguarda la domanda di senso, ma anche qualunque riflessione sui valori o sull’essere appartiene all’irrazionale e come tale ha solo valore soggettivo e mai oggettivo e quindi conoscitivo. Dunque, in un tempo come quello contemporaneo, in cui a una ipertrofia dei mezzi strumentali corrisponde una rinuncia alla ricerca del fine verso cui essi vanno orientati: invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate come ragione strumentale al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere. L’uomo, infatti, è sempre tentato da una forma di utilitarismo. Del resto, se egli da solo deve garantirsi la sua esistenza e il suo futuro non può essere completamente disinteressato: l’altro gli apparirà sempre in qualche modo come un mezzo per la sua felicità, un mezzo per sé, per garantirsi la sua esistenza. La delimitazione formale della Bioetica come etica filosofica, antropologicamente e metafisicamente fondata, ma separata dalla Teologia presuppone la stessa concezione razionalistica della ragione appena presentata”.
Come trasmettere gli insegnamenti morali ai millenials?
“I giovani sono continuamente esposti alle seduzioni dei ‘falsari della speranza’: ‘si fa loro intravedere il dominio di conoscenze che vincono ogni mistero, tecniche che escludono l’idea stessa della creazione, piaceri ripresi dalle frontiere della follia’ (J. Ratzinger). Questo quadro si aggrava, evidentemente, nella misura in cui le famiglie vengono scomposte-ricomposte, gli educatori falliscono, le guide e i pastori sono messi da parte o assenti. Da qui deriva, nei giovani, una perdita del sapore della vita, uno scoraggiamento, una tristezza e una disperazione che, purtroppo, ne conduce più di uno al suicidio. Ci accorgiamo, quando ci occupiamo della formazione morale delle nuove generazioni, di un altro grosso ostacolo: i giovani soffrono per mancanza di “protezione” di fronte alle tendenze a cui non hanno imparato a dare ordine con la ragione e la volontà e che rendono muta la voce della coscienza, resa ‘inabile’ dalla mancanza di formazione. Il risultato è un vuoto morale che il giovane sperimenta dentro di sé e che manifesta attraverso atti contrari al vero bene della persona. L’educazione morale del bambino, ragazzo e poi adolescente, deve partire non dai principi, ma dal controllare, dirigere e soprattutto motivare in modo adeguato le sue azioni; significa dare degli strumenti perché il soggetto agisca bene, cioè, virtuosamente. Dunque, il centro non è il precetto, l’obbligo, ma il ‘bene’, che attrae il soggetto. L’aspirazione al bene presente in ciascun atto va intesa all’interno di una tensione ontologica al bene, che muove tutta l’esistenza umana come ricerca di felicità. Dunque, una felicità non frammentata in una somma di beni, ma come aspirazione al bene della propria vita, al ben-essere della persona. La proposta allora è questa: eudemonia e non edonismo. Una felicità nell’ordine della gioia, non esclusivamente del piacere. In questo, l’aspetto educativo è fondamentale: occorre mostrare il bene in tutta la sua amabilità, suscitando l’interesse per quella bontà. L’educazione morale non deve tanto piegare la libera volontà in un senso piuttosto che in altro, quanto invece evocare un interesse, suscitare una capacità, sviluppare una competenza di ordine conoscitivo, volitivo e affettivo”.
La pandemia da Coronavirus ha fatto emergere un ‘bisogno di Bioetica’: in che modo?
Se la Bioetica ha avuto qualcosa da dire in questa pandemia, è stato in riferimento al valore dell’essere umano a scanso di derive riduttiviste ed eugenetiche, che invece, purtroppo, sono state numerose. Basti pensare al rifiuto dei ventilatori polmonari ai disabili in USA o all’eutanasia preventiva proposta agli anziani in Olanda.In tempi così difficili, la Bioetica ha il compito di aiutare a comprendere il ruolo fondamentale della famiglia per il bene comune e di mostrare il vero volto della libertà che è la responsabilità e non la cieca autodeterminazione. Deve smascherare le strumentalizzazioni della malattia stessa in favore di abusi contro la vita umana, come è successo per la spinta sull’aborto chimico e sulla maternità surrogata. C’è un grosso bisogno di Bioetica. Non tanto quella che risolve casi, ma quella che può aiutare a costruire uno stile di vita rispettoso della verità della persona e capace di distinguere il bene dal male”.
L’uomo pretende di farsi Dio e vuole creare in laboratorio altri uomini. Qual è la sua opinione in materia?
“L’antico sogno ‘prometaico’ tramuta la creazione per amore da parte di Dio nel ‘fabbrichiamo l’uomo’, ovvero nella volontà di potere sull’altro, fino a reificarlo producendolo in laboratorio. Questo cambia, più profondamente di quanto pensiamo, la relazione stessa tra gli esseri umani. Penso soprattutto a come le tecnologie riproduttive stanno mutando il senso della genitorialità. Quando la Bioetica parla del mutamento di prospettive avvenuto con la rivoluzione tecnologica ragiona sul passaggio avvenuto tra tecnicamente possibile e eticamente accettabile. Io aggiungerei un passaggio intermedio. Cosa rende una tecnica, prendiamo ad esempio lo screening genetico prenatale (diagnosi prenatale e/o diagnosi preimpianto), desiderabile a tal punto da quasi non poterne fare a meno? Le possibilità che oggi la scienza propone entrano a far parte della nostra percezione della realtà, al pari di come il consumismo crea bisogni piuttosto che soddisfarli. Pertanto, ciò che avviene è la creazione non solo di aspettative, ma proprio di nuovi standard a cui conformarsi. Ed è il confronto con questa realtà a mutare poi il sistema valoriale. Il ‘tecnicamente possibile’ muta il nostro approccio alla realtà generando bisogni, insoddisfazione e dunque nuovi bisogni. È qui che avviene il passaggio da ciò che ‘posso’ a ciò che ‘devo’. E il tecnicamente possibile diventa umanamente desiderabile e moralmente obbligante a meno che si decida di smettere di stare a mollo in questo fiume in piena della “società liquida”, riscoprendo la verità e lasciare che essa, illuminando la ragione, modelli e guidi la libertà nelle scelte particolari”.
Elio Sgreccia è stato pioniere della Bioetica in Italia. Lei come lo ricorda?
“Penso che il miglior modo di ricordare Elio Sgreccia sia tenere sempre bene a mente il suo pensiero, nei tratti più ‘rivoluzionari’, come ad esempio il concetto metafisico di persona, a lui molto caro, e l’unità tra i concetti ‘essere umano’ e ‘persona’. Quando ci si discosta da questa eredità, le conseguenze sono devastanti. Chi argomenta, infatti, a favore della separazione di questi due concetti separa la soggettività dell’essere dalla realtà di fatto, ossia dal suo corpo, non ritenendo sufficiente identificare la persona con la sua evidenza fisica di ‘essere umano’. Tale tendenza incide sulla la prospettiva per tutti spontanea, in cui i termini essere umano e persona risultano interscambiabili. Per coloro che seguono tale tesi, infatti, il corpo dell’essere umano può anche non manifestare l’essere persona, in quanto per persona s’intende un carattere attribuito dalla società e non inequivocabilmente legato all’appartenenza alla specie umana. Ma l’esito di questa dicotomia è la riduzione del corpo ad oggetto senza soggettività né valore intrinseco. In verità, se la persona si sgancia dal suo corpo, allora la distruzione della mera vita corporea non è di per sé un attacco alla persona umana. Così le vite del nascituro, del neonato, degli individui in stato vegetativo persistente e di molti altri, non sono più inviolabili. Anzi, il corpo, in questa visione, può in qualsiasi momento trasformarsi in una prigione o in un peso intollerabile, facendo automaticamente sorgere il ‘diritto a morire'”.