La politica dell’invidia e i cristiani “minoranza creativa”

La politica dell’invidia e i cristiani “minoranza creativa”

 

Soprattutto in campagna elettorale si sente la parola “riforme”, ovvero delle modificazioni volte a cambiare, in tutto o in parte, delle leggi o delle prassi o addirittura dei sistemi.

Si dovrebbe operare, dunque, una distinzione fra coloro che lavorano per riforme veramente necessarie, anche di natura radicale e coloro che cercano la rivoluzione con finalità distruttive.
Ad esempio, il sottoscritto, da cattolico praticante ed impegnato in politica si distanzia da ogni forma di liberalismo, con quanto definisce S. S. Papa Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno del 15/05/1931, specialmente laddove sostiene la “naturalità” della proprietà privata, perché essa favorisce il legittimo libero sviluppo, umano e spirituale, della persona. Il Magistero della Chiesa, nella medesima enciclica sostiene con incredibile attualità: “in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento … una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica dell’ economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza (107)”.
 
Altrettanto, seguendo le indicazioni della Rerum Novarum di Leone XIII, concorda con Kerry Bolton quando sostiene che il sistema internazionale di finanziamento del debito e del commercio ha bisogno di una trasformazione radicale, per subordinare il ruolo di Mammona, ossia della pervasiva etica del denaro, ad attività umane più elevate, come quelle della cultura. Chi, se non il Movimento 5 Stelle, rappresenta, con la sua forma di antipolitica il principale soggetto sobillatore delle masse sulla base dell’invidia sociale, malcelata dal principio di uguaglianza e libertà?
 
A tal proposito, sostiene Bolton: “un tale cambiamento incoraggerebbe l’impresa privata e la proprietà privata, invece di distruggerla in stile bolscevico, e consentirebbe la riduzione di molte tasse paralizzanti, la panacea dei socialisti per “derubare i ricchi e dare (apparentemente) ai poveri”. Ed è in questo contesto che una vera autonomia fiscale può essere vista solo come come un enorme toccasana per tutti i lavoratori, di tutto il Paese, pur differenziata, a seconda delle diversità territoriali. 
Nel XX secolo, grandi personalità come G.K. Chesterton, Hilaire Belloc, Ezra Pound hanno sostenuto alternative, sia al marxismo, che al finanziamento del debito, come il credito sociale e il distribuzionismo. Tali riforme non richiederebbero la distruzione della famiglia, la legalizzazione di ogni perversione e l’annientamento della religione, obiettivi della vecchia sinistra e del nuovo globalismo. Alcuni altri – sostiene Bolton – anche della sinistra, sostenevano tipi di socialismo che dovevano essere creativi e spirituali, in contrapposizione al marxismo, che è distruttivo e materialista. Questi esteti socialisti includevano Oscar Wilde e William Morris, che combinavano la riforma sociale con il movimento Arti e Mestieri. La distinzione tra riforma sociale creativa e la distruzione sociopatica, sostenuta dalla sinistra, potrebbe essere definita come la differenza fra le riforme fondate sulla tradizione e quelle fondate sulla distruzione della tradizione.
 
Persino Winston Churchill, che umanamente e politicamente non può certo essere definito vicino alle nostre posizioni, sostenne che “il socialismo è una filosofia del fallimento, il credo dell’ignoranza e il vangelo dell’invidia. la sua virtù intrinseca è l’equa condivisione della miseria”. L’ex comunista statunitense ed economista Nathaniel Weyl si sofferma sul concetto di invidia, proprio dei socialisti e lo distingue dall’ambizione. Invidia non è desiderio di eccellere, ma impulso vergognoso di abbattere i più dotati.
E, ritenendo noi cristiani impegnati in politica, oramai, una minoranza creativa, pare assai azzeccato il giudizio di Weyl: “Avanzerò l’ipotesi che l’invidia di chi non riesce ad ottenere risultati contro le minoranze creative sia la molla principale dei movimenti rivoluzionari moderni, e che questa invidia è incitata e sfruttata da intellettuali alienati, e che il risultato è l’aristocidio – l’uccisione di persone produttive, dotate e capaci – con il conseguente declino genetico”.
 
Weyl notava come questi “intellettuali alienati” agitino le masse, un po’ come fanno anche adesso, tramite alcuni media. Perché l’elemento di leadership delle rivoluzioni è raramente composto da contadini indignati o sottoproletari infuriati. Si tratta generalmente, d’intellettuali frustrati, alienati, privi del contatto con la realtà, senza i quali l’invidia delle masse rimarrebbe senza direzione. Questi intellettuali odiano per natura intrinseca a causa di un risentimento imbronciato e silenzioso. Essi fungono da catalizzatore, incitando e attualizzando il sentimento prevalente di invidia, fornendogli un obiettivo apparentemente legittimo, addirittura abbellendolo con un’ideologia ed una speciosa giustificazione morale.
 
Noi figli della Luce, altresì, vorremmo la pace sociale nel principio di sussidiarietà e attraverso l’armoniosa collaborazione tra le classi, che, però, pur restando differenti, lo Stato deve preservare dal motore dell’invidia, che le mette le une contro le altre. Alla proposta di riforma delle istituzioni si affianca quella dei costumi, espressa in modo perentorio da Pio XI nella Quadragesimo Anno: «il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane» (n. 129) e la «cristianizzazione della vita economica» (n. 135). Il presupposto è che la società si è allontanata dal cammino della Chiesa e non ha altra soluzione se non farvi ritorno. Perciò ricorre così frequentemente il termine “ricostruzione”, presente fin dal titolo dell’enciclica («Sulla ricostruzione dell’ordine sociale e il suo perfezionamento in conformità con la legge evangelica», secondo il testo originale latino).
Matteo Castagna
 
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Splendida analisi grazie per queste considerazioni che illuminano il senso della nostra situazione attuale.