Sussidiarietà, antidoto al totalitarismo dello Stato moderno

Sussidiarietà, antidoto al totalitarismo dello Stato moderno

 

Cardini della Dottrina sociale della Chiesa sono i principi di solidarietà, bene comune e sussidiarietà, quest’ultimo forse meno conosciuto e ancor meno applicato, benché sia contenuto nella stessa Costituzione della Repubblica Italiana.

La sua definizione teorica classica – anche se tale principio è sempre stato conosciuto e praticato nella Chiesa – è stata data nel 1931 da Pio XI nella sua lettera enciclica Quadragesimo anno: «Come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria proprie per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo, insieme, un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché, oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le assemblee del corpo sociale, non già di distruggerle e di assorbirle».

A ben vedere si tratta di una indicazione preziosissima per ogni forma di buon governo in quanto, ponendo le persone e i corpi intermedi come la famiglia e le libere associazioni di cittadini al centro della vita economica e della stessa organizzazione statale, la sussidiarietà mettere al riparo non solo da ogni forma di totalitarismo ma dal cancro burocratico e amministrativo che nelle “democrazie sociali” dell’Occidente e nel cosiddetto “Stato assistenziale” ha raggiunto livelli ormai insostenibili.

In altri termini, per dirla con Pio XII, che citava il suo predecessore, «ciò che l’uomo singolo può fare da sé e con le proprie forze, non deve essergli tolto per essere rimesso alla comunità»; il che è esattamente l’opposto di ciò che è avvenuto in Italia e nel resto dell’Europa che era rimasta indenne dal giogo comunista. Anche qui infatti si sta concludendo quel lento ma inesorabile processo iniziato in Francia con la Rivoluzione del 1789, proseguito nel resto del continente con le invasioni napoleoniche e perfezionato dal bolscevismo in Russia e dal nazionalsocialismo nella Germania di Hitler: il completo controllo e asservimento di ciascuna persona da parte di un apparato burocratico-statale reso oggi ancor più pervasivo dalla tecnologia informatica e digitale.

Eppure di sussidiarietà parla anche la Costituzione Italiana che, all’articolo 118 del Titolo V – non a caso dedicato a Regioni, Provincie e Comuni – prevede che«Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà». Ma tale principio è rimasto per lo più lettera morta. Ciò in parte perché la nostra Legge fondamentale è nata dal compromesso tra le forze cattoliche e laiche sopravvissute al fascismo e i comunisti, che nel 1947 erano di stretta osservanza stalinista e quindi assai poco propensi a rinunciare al loro sogno egemonico e totalitario concedendo spazi alla “società civile” a discapito dello Stato.

D’altro canto quegli stessi cattolici che vollero introdurre la sussidiarietà nella Carta costituzionale erano di fatto già inquinati dal neo-modernismo che li ha portati ad assumere un ruolo subalterno se non di veri e propri fiancheggiatori del socialismo. Il che ha fatto dimenticare loro ben presto il fondamentale principio di sussidiarietà, per favorire alla fine un accentramento e un dirigismo pubblico che pure stava combinando disastri là dove era stato applicato: Germania hitleriana e Unione sovietica in primis.

Ecco perché la sussidiarietà si è ridotta al massimo a mero decentramento amministrativo, dall’alto verso il basso, sempre all’interno di un rigido ordinamento centralistico; una indicazione, appunto, a far sì che il potere si distribuisse “equamente” tra i vari enti locali dell’apparato statale.

Ma la sussidiarietà, rileggendo la definizione che ne hanno dato i pontefici prima citati, è tutt’altra cosa. È una dichiarazione di fiducia nella libertà, nella dignità, nella capacità della singola persona umana, nella consapevolezza che Dio ha voluto che gli uomini possano collaborare alla creazione, dando loro capacità di inventiva e di intraprendenza che la società deve lasciare liberamente sviluppare.

Là dove ciò non avviene, secondo l’esempio a quanto pare largamente dimenticato o ignorato offerto dai Paesi, non soltanto ex socialisti, la società si paralizza, diventa apatica, perde la capacità di lavorare bene e con passione mentre i corpi intermedi spariscono o perdono la loro funzione e importanza, fino a lasciare l’individuo sempre più solo davanti al Moloch statale.

La stessa Unione Europea deve gran parte del suo fallimento ideale e pratico ad un processo opposto a quello immaginato dai c.d. padri fondatori Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman – tutti e tre cristiani –, che avrebbe dovuto sfociare in una unificazione senza spazio per le singole identità nazionali. Una costruzione finita invece con rigide norme che pretendono di stabilire perfino gli standard di qualità per la vendita dei cetrioli, e dalle quali è difficilissimo svincolarsi, come sta dimostrando il caso della Brexit britannica. Tale processo ha fatto giustamente lanciare accorati allarmi come quelli ad esempio dell’intellettuale russo Vladimir Bukovskij, il quale dopo esser sopravvissuto a sedici anni di gulag e di manicomio in URSS, di certe cose se ne intendeva. Ecco il succo del suo messaggio: «Dopo avere seppellito un mostro, l’Unione Sovietica, ne stiamo costruendo un altro notevolmente simile: l’Unione Europea».

Tornando alla sussidiarietà, in quanto realtà “naturale”, essa può permettere all’individuo di fare sino in fondo la sua parte per il bene comune sia dei singoli sia della collettività.  L’importante è puntare sulla famiglia che è davvero, malgrado l’espressione abusata, la “cellula fondamentale della società”. Proprio per questo, essendo essa una sorta di ultima ridotta di resistenza contro ogni totalitarismo, la comunità familiare sta subendo oggi una offensiva senza precedenti.

Dopo la continua predicazione, alla quale purtroppo si sono accodati un tempo tanti cattolici, per allontanare a ogni costo la donna, moglie e madre, dalla famiglia e anche a causa di ciò aver abdicato al diritto di educare di figli, dall’asilo nido all’Università, si assiste adesso all’offensiva finale scatenata dall’ideologia gender e gay friendly, che con la sua pretesa di convincere che tutto è “famiglia” – dall’unione di due o più uomini a due o più donne con uno o più uomini e via fantasticando; con contorno di figli naturali, adottati o acquistati al supermarket dell’utero in affitto – mira alla completa dissoluzione dapprima del concetto stesso e poi di ogni legame, trasformando ciascun essere umano in una anonima formichina in balia del potere.

Per comprendere gli immensi benefici che trarrebbe una società cristianamente organizzata in base alla sussidiarietà si dovrebbe tornare a studiare il Medioevo, tutto basato sulle autonomie locali e non per niente denigrato e oscurato da una storiografia subalterna alle ideologie totalitarie, di destra e di sinistra, del XX Secolo.

Nella Cristianità medievale le aggregazioni “spontanee” come quelle tra coloro che esercitano lo stesso mestiere – quelle corporazioni che costituivano un mirabile esempio di solidarietà e autorganizzazione – o tra coloro che abitavano nello stesso territorio avevano piena cittadinanza. Lo stesso potere dell’imperatore trovava un freno e un limite nei suoi vassalli, i quali a loro volta dovevano tener conto di usi, consuetudini che localmente derivavano dai privilegi e delle prerogative di monasteri, ordini religiosi e confraternite laicali. Eppure lungi dal costituire un intralcio allo sviluppo della società nel suo complesso la “sussidiarietà pratica” del “secolo di mezzo” fu tra i motori di uno spettacolare balzo in avanti per l’Occidente, in tutti i campi.

Con l’affievolirsi dello spirito cristiano altre forze cominciarono a lavorare per restringere gli ambiti di libertà, prima in favore del sovrano assoluto e poi dello Stato, sempre più “democratico” e anonimo, come quello disegnato dalla montante marea giacobina, che dopo aver smantellato in Francia le ultime libertà di singoli e gruppi ereditate dal Medioevo, ha esportato la sua opera di demolizione sociale anche nel resto dell’Europa. Una decadenza che prosegue soprattutto oggi.

PIETRO LICCIARDI
in Corriere del Sud n. 7
anno XXVIII/19, p. 3

 

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