San Rocco, un grande santo venerato in tutto il mondo
Qualche tempo fa mio fratello, di ritorno dal santuario spagnolo di Santiago di Compostella, mi regalò, invece dei tanti souvenir che vi si trovano, una bella capasanta, che io, bambina, chiamavo Venere e trovavo, più piccolina e violetta o color arancio acceso, lungo gli arenili sardi. Pensavo, fino a ieri, che la conchiglia, la quale pare una mano girata dalla parte del palmo con le dita a raccogliere qualcosa di dolce e piccino, fosse semplicemente il simbolo del compiuto pellegrinaggio, il segno concreto di aver raggiunto la spiaggia galiziana dove arrivò il corpo di San Giacomo apostolo. Sbagliavo. Come ho scoperto studiando carte e libri per scrivere, come oggi scrivo, di San Rocco, il santo pellegrino, guaritore dalle pestilenze e dai mali infettivi. La conchiglia, la capasanta, era il suo unico avere: era bicchiere prezioso per bere dai fiumi, dalle sorgenti, dalle fonti, un boccale creato dal Signore, bello più di ogni altro bicchiere d’argento, di cristallo o d’oro. I pellegrini penitenti che nel passato percorrevano i tanti cammini santi, oltre alla inseparabile conchiglia, portavano il bordone, cioè il bastone, e il “sanrocchino” (in onore del nostro Santo) un mantelletto per proteggersi dalle intemperie…
E ora, sul mantello fatato di San Francesco De Paola (che gli fece traversar lo Stretto di Messina), valichiamo le Alpi e torniamo indietro nel tempo fino ad arrivare alla metà del Trecento quando, tra il 1345 e il 1350, a Montpellier, venne ad allietare la casa, vuota di bimbi, di Jeane Libère De La Croix, un maschietto, che sul petto aveva una croce rossa. Fu chiamato Rotch, il Rosso. Che strano, ho un’amica che ha chiamato così un suo sfortunato figliolo e io pensavo che, senza un Santo a proteggerlo, partiva già senza radici… di nuovo sbagliavo. Aveva a vegliar su di lui un Santo potente e grande. E rosso, infiammato dall’amore per il Signore, fu il piccolo Rocco che, giovinetto, divenuto Terziario francescano, inseguì il sogno di raggiungere Roma, la Città del Papa, dove da poco tempo, Urbano V, francese lui pure, era tornato con la corte Papale, lasciando per qualche anno Avignone. Scese in Italia, Rocco, e trovò ad attenderlo la nera nuvola della peste. Non si sa bene quali strade percorse San Rocco nel suo andare. Si sa che, nell’estate del 1367, era ad Acquapendente, una cittadina vicino a Viterbo, dove si mise ad assistere gli appestati, con la forza della vera Croce e la fede pura che fa camminare i Santi sul mare in tempesta. Ancora oggi ad Acquapendente, chi percorre la via Francigena, trova ospitalità nella Casa del pellegrino di san Rocco…
Rocco arrivò a Roma e fu caro a un alto prelato, il Cardinale Britonico, che lo volle presentare al Papa. E qui la penna mia cede all’ubi maior e lascia che siano le parole di un biografo anonimo del Quattrocento, a raccontar l’evento prodigioso che commuove e scuote l’anima pigra. “Rocco, prostrato davanti al Vicario di Gesù Cristo, gli domandò la sua benedizione e l’assoluzione dei suoi peccati. Il Papa, abbagliato da una luce miracolosa, gli disse: “Non avete bisogno, o mio Figliuolo, di nostra assoluzione, ma noi abbiamo bisogno dell’aiuto di vostre orazioni”. E mentre scrivo il pensiero vola a una scena magnifica del film di Franco Zeffirelli, “Fratello sole, Sorella luna”, ossia l’incontro tra Francesco, San Francesco, e il Pontefice, Innocenzo III. Se non l’avete vista, correte a comperare il Dvd, una buona ragione per sedervi davanti al video!
E proseguiamo, pellegrini, con San Rocco. Nell’Urbs, abbandonata, malinconica, piena di peste, Rocco guarisce molti nell’ospedale Santo Spirito, poi parte per il Nord, continuando nella sua missione di guaritore, accompagnato, per così dire, da San Raffaele. Rimini, Forlì, Bologna, Piacenza, sono soltanto alcune delle sue probabili tappe. Poi si ammalò. Di peste. Era, allora, a Sarmato, nel piacentino. Malato, solo, Rocco si rifugiò in una capanna. Sopravvisse grazie a un cane (ancora oggi il fedele cane è presente in tutti i dipinti che rappresentano San Rocco…) che gli portava ogni giorno una pagnotta di pane. L’acqua pioveva dal cielo per dissetarlo. Guarì, ripartì per la Francia. Il suo bordone si trasformò in un albero di pere…Tornato in Francia, o sulla via di casa, venne accusato di essere una spia e arrestato. Finì in carcere per cinque anni finché un giorno, prostrato dalla prigionia, vicino alla fine, Rocco chiese di vedere un sacerdote. La storia non ci dice che cosa accadde, ma di certo cose grandi perché decisero di scarcerarlo. Ma quando aprirono la porta della sua cella, Rocco era già volato in cielo. Era il giorno dell’Assunta.
Per capire quali prodigi avvennero nella lugubre cella di Rocco, voliamo sulle ali dell’arte a Venezia, nella stupenda “Scuola grande di San Rocco”, affrescata dal grande Tintoretto, attigua alla Chiesa intitolata al Santo veneratissimo dalla Serenissima. Dopo aver ammirato i teleri del grande pittore veneto che raccontano storie dell’Antico del Nuovo Testamento, perdiamoci nella bella Chiesa, dove un dipinto in particolare ci svela l’arcano. Si tratta di “San Rocco in carcere confortato da un angelo”. Immersi negli scuri colori veneti del maestro, anneghiamo nel dolore umano, di stracci e pianti. Piedi incatenati, teste che escono da inquietanti grate che coprono buchi senza fondo, uomini laceri, nel buio senz’aria e senza sole, e lui, Rocco, a torso nudo, le braccia incrociate sul petto, tiene lo sguardo sull’angelo azzurro che, sfolgorante di luce, buca il buio, illuminando di speranza la scena. E prima di lasciare questo Santo grande, veneratissimo in tutto il mondo, e anche a Roma, in una chiesa a lui dedicata vicino al Mausoleo di Augusto, vorrei inginocchiarmi davanti al nostro bel Santo per chiedergli di aiutare noi pure in questo tempo gramo di mascherine, tamponi e virus…
BENEDETTA DE VITO