Quando l’eroismo del cardinal Mindszenty ispirava i vescovi italiani

Quando l’eroismo del cardinal Mindszenty ispirava i vescovi italiani

«Ieri sera, quando seppi della sentenza, ebbi un sentimento di superbia di cui ho chiesto perdono a Dio. Mi sentii cioè vicino ai sacerdoti e ai laici che al di là della cortina di ferro vengono quotidianamente trascinati a pene orribili. Non sono degno però di baciare le catene del cardinale Mindszenty ed altri, ma sento, che, sia pure in piccolissima misura, Gesù mi ha associato a queste sante creature… Se qualcuno pensasse che il vostro vescovo si metterà a tacere, costui fortemente s’illude».

Sono le parole di mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), vescovo degno di nota del quale è appena uscita una interessante biografia a cura di Giuseppe Brienza, intitolata La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, pronunciate in una data destinata a rimanere nella storia, non solo di Prato, ma anche dell’Italia. Era il 1° marzo 1958 e il Vescovo di Prato era stato appena condannato, in primo grado, dal tribunale di Firenze per diffamazione nei confronti dei coniugi Bellandi. Era il famoso caso «dei pubblici concubini». Quel giorno la comunità ecclesiale di Prato si strinse attorno al suo pastore e alle 18, venne celebrata in duomo una Messa, su richiesta dei sacerdoti della diocesi toscana e della locale Azione cattolica. Nel suo discorso, mons. Fiordelli, si riferiva alla gloriosa vicenda del primate di Ungheria, il Servo di Dio József Mindszenty (1892-1975), arrestato prima nel 1944 dal governo filonazista del suo Paese con l’accusa di alto tradimento e, poi, nel 1948, da quello comunista a causa della sua Fede in Cristo e della sua ferma obbedienza al Santo Padre. Anche per questo, Papa Pio XII, nella lettera apostolica Dum maerenti animo, del 29 giugno 1956, rivolgendosi alla Chiesa perseguitata nell’Europa dell’Est, scrisse: «Ci rivolgiamo anzitutto a voi, diletti figli Nostri, cardinali di santa romana Chiesa, Giuseppe Mindszenty, Luigi Stepinac e Stefano Wyszynski, che noi stessi abbiamo rivestiti della dignità della romana porpora per gli insigni meriti da voi acquistati nel disimpegno dei doveri pastorali e nella difesa della libertà della Chiesa».

«All’animo nostro addolorato – continuava l’ora Venerabile Pio XII – è sempre presente quanto voi, ingiustamente allontanati dalle vostre sedi e dal vostro sacro ministero, avete sofferto e continuate a soffrire con fortezza per Gesù Cristo». Mons. Fiordelli, nella “cattolica Italia” (o, meglio, “democristiana Italia”) degli anni Cinquanta, come ricorda Brienza, era querelato e condannato in primo grado per aver denunciato dal pulpito come «pubblici peccatori e concubini»una coppia di coniugi della diocesi, Mauro Bellandi e Loriana Nunziati, perché sposati con il solo rito civile. I fatti risalgono al 1956 e causarono al giovane vescovo un processo per diffamazione intentato dalla coppia di cittadini pratesi (lui era un noto militante comunista)ed una condanna in primo grado al pagamento di sanzione pecunaria. Dopo molteplici interrogatori e deposizioni, Fiordelli venne, a distanza di anni, assolto in appello per l’«insindacabilità dell’atto» a lui imputato. Il fatto che, per così dire, accese la miccia fu la lettera da lui indirizzata ad un sacerdote della diocesi di Prato, don Danilo Aiazzi, responsabile della parrocchia alla quale appartenevano i sopra menzionati coniugi Bellandi, pubblicata il 12 agosto 1956 sul giornale parrocchiale. Intrisa di una fermezza alla quale alcuninon erano più abituati, dopo che fu resa nota fu intrapresa, da parte degli ambienti comunisti e laicisti, una campagna stampa internazionale per screditare, assieme al vescovo Fiordelli, quello stesso Papa che lo aveva nominato e lo appoggiava convintamente, cioè Pio XII. Persino la rivista americana Life contribuì, con grandi fotografie pubblicate della famiglia Bellandi al completo, comprese alcune della neo mamma “scomunicata” con il proprio bebè in braccio, ad amplificare la vicenda. Dopo discussioni sul diritto canonico e concordatario,i giudici condannarono il vescovo di Prato ad una ammenda di 40.000 lire, una condanna simbolica anche se moralmente grave, che suscitò le vivaci proteste della Santa Sede e del mondo cattolico internazionale. La segreteria di Stato vaticana denunciò la sentenza come un atto illegale della magistratura che avrebbe favorito in futuro ogni abuso laicista, e condannò la debolezza dimostrata nella vicenda dal Governo italiano. Fra gli altri messaggi di solidarietà pervenuti a mons. Fiordelli e che sono stati riportati nel volume biografico appena pubblicato dalla casa editrice diretta da Mons. Antonio Livi (il quale ne firma anche una accurata Postfazione), sono di particolare interesse storico anche quelli inviati da personalità di notorietà internazionale, perseguitate dalle autorità comuniste al potere, come quello dello scrittore rumeno Vintilă Horia (1915-1992). Mons. Pietro Fiordelli, per 37 anni vescovo di Prato (dal 1954 al 1991), è da considerarsi fra i più intrepidi difensori della vita e della famiglia in un’Italia, come quella del post-Concilio e del Sessantotto, nella quale anche molti cattolici si sono adeguati al liberalismo ed al marxismo imperanti. Fra i suoi meriti vi sono quello di aver promosso, nei primi anni Settanta, l’organizzazione capillare di “Centri” e “Servizi di aiuto alla vita” che, ancora oggi, cercano di scongiurare l’aborto e, nel 1979, di essersi inventato quella “Giornata nazionale per la vita”, doverosamente celebrata ogni anno in tutte le parrocchie d’Italia, a partire dell’approvazione della legge che ha introdotto l’uccisione volontaria dei nascituri nel nostro Paese (la famigerata l. n. 194 del 1978). Quella di mons. Pietro Fiordelli presentata in questo saggio biografico pubblicato nel decimo anniversario della sua morte (2004-2014), corrisponde esattamente alla visione di vescovo che, secondo Papa Francesco, la Chiesa “vuole avere” (Discorso alla Congregazione per i vescovi, 27 febbraio 2014).

Determinato a compiere scelte libere da «condizionamenti di scuderie, consorterie o egemonie», ed annoverabile fra quei pastori santi che, ha indicato l’attuale Pontefice, vivono come «seminatori umili e fiduciosi della verità», questo vescovo si è adoperato in un’opera indefessa per la restaurazione della dignità del matrimonio e contro il comunismo. Noncurante delle calunnie e delle accuse mossegli da coloro che avversavano la sua concezione sociale cristiana, Fiordelli si è fatto senza compromessi araldo dei valori morali e familiari, coniando fra l’altro durante il Concilio Vaticano II una delle espressioni che è oggi comunemente utilizzata, cioè la famiglia “Chiesa domestica”, destinata a edificare, in chiave civica, quella famiglia di famiglie sicuro ancoraggio di Tradizione e di futuro.

 

Omar Ebrahime
in Corriere del Sud n. 9
anno XXII/14, p. 3

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