“Ho aiutato chi voleva morire perché sono cattolica”. Ecco da dove arriva la blasfemia radicale

“Ho aiutato chi voleva morire perché sono cattolica”. Ecco da dove arriva la blasfemia radicale

di Valerio Pece

CI VERGOGNIAMO DELLA NOSTRA STORIA, LUCENTE E BIMILLENARIA

«Ho aiutato chi voleva morire perché sono cattolica». Così Mina Welby, copresidente dell’associazione Luca Coscioni, prosciolta dall’accusa di aiuto al suicidio assistito per la morte di Davide Trentini. Inutile girarci intorno: in quel «perché sono cattolica» si intravede quel tramonto dell’occidente fotografato in un titolo di Oswald Spengler, ma prima ancora si tocca con mano quella torsione diabolica inferta alla fede cattolica, propria del mondo radicale, che da delittosta facendo passare l’aiuto al suicidio non solo a diritto,ma addirittura a precetto morale. Quasi fosse un’opera di misericordia corporale.

Come è potuto avvenire questo completo ribaltamento? Nel clima di festa con cui quasi tutti i media hanno accolto la sentenza, è quasi inutile ricordare alla sedicente cattolica Welby che“Impugnare la verità conosciuta” – perché per una credente di questo si tratta -in realtà è esattamente uno dei sei peccati contro lo Spirito Santo, quelli che non possono essere perdonati. Il Vangelo è chiaro: «Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata» (Mt, 12,31).

«Ore per salvare, due minuti per uccidere»

Anche il mondo medico-scientifico, oltre quello cattolico, è destinato a risentire pesantemente di una sentenza shock che – come ha scritto Francesco Ognibene –si muove dentro «un tacito, storico patto tra giudici (di alcuni tribunali mirati: mica ci si autodenuncia dove ci sono magistrati allergici alle sentenze creative) e radicali». Massimo Gandolfini, il 27 novembre 2019, all’indomani del comunicato stampa della Corte Costituzionale con cui venivano apposti i famosi quattro “paletti” ricorrendo i quali si configurava la «non punibilità» dell’aiuto al suicidio(la sentenza sarebbe arrivata settimane dopo), indirizzò ad Avvenire una lettera aperta carica di pathos e di realismo. Gandolfini in fondo  si limitava a chiedere che il medico potesse fare il “mestiere” per il quale aveva studiato: difendere la vita, prevenire e curare le malattie, lenire il dolore. Niente di più. Richiamandosi al suo quotidiano lavoro nell’ospedale Poliambulanza di Brescia, scriveva: «Personalmente mi sento gratificato e – permettetemi – felice quando dopo ore di sala operatoria ho asportato un tumore cerebrale; e mi sento offeso se si pretende che in pochi minuti infili un ago nel braccio del mio paziente per iniettare il “farmaco letale”.Ore per salvare una vita, due minuti per uccidere: questa non è medicina». Nel silenzio generale, un manipolo di radicali ha sovvertito parole che suonano tanto piane, dovute, razionali.

Gandolfini chiudeva la lettera con una provocazione che nel nuovo che va prendendo forma, diventa oggi un’opzione concreta: «Dunque, sì, – tuonava il solitamente mite medico bresciano – se proprio si vuole, si compili una lista di “funzionari statali” addetti a questa abbietta incombenza e si lasci al medico il compito che gli compete da millenni».

Invocare lo spirito di Pannella

«E l’eutanasia per quando?, m’è stato chiesto in un recente dibattito sull’aborto. Deluderò i nemici in agguato e amici impazienti, ma io sono contro». Così Marco Pannella sull’Espresso del 1 febbraio 1975. Si andava verso il referendum sull’aborto e l’imperativo era rassicurare: chi è già in vita non si uccide. Pura strategia, ovviamente.

Molti anni dopo, lo stesso Pannella ha dichiarato: «Welby resta un simbolo della nostra storia recente. Ma basterebbe ricordare quelle parole di Giovanni Paolo II, “lasciatemi tornare dal padre”». Per poi aggiungere spavaldo – collegandosi idealmente alle parole di Mina Welby – «ecco la coincidenza tra il sensus fidelium, la cattolicità italiana, e noi: proclamiamo spesso le stesse urgenze. Poi siccome la Chiesa è anche Vaticano, nelle risposte siamo contrapposti. Ma siamo contrapposti con la chiesa Vaticano, non con i fedeli». Capiamo bene quanto la citazione blasfema e luciferina di Mina Welby sia venuta da lontano, da quel leader radicale che non si faceva problemi nemmeno a strumentalizzare le parole del santo Papa polacco, nel cui caso non si può parlare di eutanasia, bensì di accanimento terapeutico, che anche la Chiesa rifiuta.

Ma si tratta di salti carpiati, quelli del guru radicale, che pochi nel mondo cattolico hanno cercato di arginare. Certamente non mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita, il quale ha invocato“lo spirito di Pannella”, considerandolo «un uomo di grande spiritualità» e «ispiratore di una vita più bella non solo per l’Italia, ma per questo nostro mondo, che ha bisogno più che mai di uomini che sappiano parlare come lui». Di queste genuflessioni oggi raccogliamo i frutti.

Da inventori di ospedali a sadici

Ma i paradossi di questa triste vicenda non finiscono qui. C’è molto di più. C’è che ci vergogniamo della nostra storia, lucente e bimillenaria. Sì, perché gli ospedali sono stati letteralmente inventati dai cristiani. E in queste ore, in cui questi ultimi vengono dipinti come sadici, felici di far soffrire le persone, sarebbe appena il caso di ricordarlo. Nel lontano 325, il Concilio di Nicea rese obbligatorio per le chiese avere gli xenodochi, i primi ospedali, dove malati di ogni genere trovavano rifugio e cura.«Da allora – scrive Antonio Socci – fu un fiorire di ospedali che per tutto il medioevo vennero costruiti come cattedrali. I malati non furono più abbandonati, come nell’antichità, ma ritenuti la carne stessa di Cristo».Ma l’Occidente sembra averlo rimosso, intento com’è a espiare il suo peccato originale: aver portato nel mondo il Cristianesimo, il vero illuminismo. Persino le parole del pm Marco Mansi, il quale aveva chiesto per Cappato e Welby una condanna lieve (3 anni e 4 mesi) sono di una sudditanza imbarazzante. «Il reato di aiuto al suicidio sussiste aveva spiegato il pm – ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini».

Partito radicale di massa 

La verità è che il “partito radicale di massa” profetizzato dal filosofo Augusto del Noce, è la realtà che abbiamo sotto gli occhi da anni. La riprova è che da oggi si può applicare il “metodo svizzero” del tutto impunemente, organizzando, come scrive Adinolfi,«un bel commercio sulla pelle di disabili e depressi aspiranti suicidi». «Avete spalancato i cancelli all’inferno, alla mattanza degli addolorati», chiosa lo scrittore romano. Come dargli torto? Bisogna però tornare a Del Noce per capire che a creare queste condizioni è stata l’alleanza tra cattolici e comunisti, entrambi rimasti orfani delle loro rispettive  “fedi”, ed entrambi costretti – pur di sopravvivere – ad tuffarsi nell’orgia fagocitante dei cosiddetti “diritti civili”.

C’è un punto fermo. A meno di assistere ad un’improvvisa, potente e traumatica rinascita spirituale (che ci auguriamo di cuore), se un giorno il popolo dovesse arrivare a rifiutare l’ormai ampiamente inoculato virus radicale, ciò sarà solo e soltanto perché nei bagordi blasfemi che arrivano ad affermare che si uccide «perché si è cattolici», la promessa di “sazietà” – seppur “disperata” – non è stata mantenuta.

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Per favore: trovate 7 minuti per leggere questo articolo di Valerio Pece. Non è la “semplice” cronaca di un fatto (nello specifico: le incredibili dichiarazioni di Mina Welby sul suicidio di suo marito) ma è una precisa lettura di come la demoniaca versione radicale (Pannella, Bonino, Fortuna, Cappato e tanti altri, per esempio Daniele Capezzone oggi “travestito” da uomo nuovo e statista serio) riguardo i cosiddetti “diritti civili” si sposa perfettamente con la errata e blasfema concezione di “misericordia” attualmente in auge per le note e precise responsabilità dei vertici ecclesiali

Viviamo nell’ottica che si vive una volta sola e bisogna approfittare di ogni occasione per godersela. Peccato che fare del bene non è più un elemento di una vita buona…ma soldi potere piacere. E se arriva il dolore, una grave malattia, la vita non è considerata degna d’essere vissuta. Colpa della mancanza di valore della vita dal concepimento alla naturale conclusione; colpa anche di strutture che supportano malati e fsmiglie… e si crea un circolo vizioso.

Io sono un medico e inorridisco davanti a queste dichiarazioni di “bontà” nei confronti di un proprio caro;
basta guardare con quanto amore le mamme di figli con severi handicapp dedicano la loro vita, e quanto amore ricevono: impariamo da loro.
Lottiamo per non perdere il sacrosanto diritto della Obiezione di Coscienza!!, sarebbe la fine della nostra missione.