“E’ una cosa molto buona per la Chiesa celebrare il rito della Messa nelle sue due forme”
La messa nella forma straordinaria del rito romano è “un modo per rimanere fortemente ancorati alla Tradizione, perché la Messa che abbiamo celebrato dal 1962 è più o meno la Messa che abbiamo ricevuto dal tempo di Papa San Gregorio Magno. Secondo me – e Benedetto XVI ha scritto molto bene su questo – non ci può essere opposizione tra la Forma Ordinaria e la Forma Straordinaria. Credo che sia importante mantenere viva la cosiddetta Forma Straordinaria della Messa per mantenere un legame più forte con la Tradizione. Inoltre celebro molte Sante Messe nella Forma Ordinaria, e non è un problema per me, ma aderisco fortemente alla visione che Benedetto XVI ha espresso nel suo Motu Proprio Summorum Pontificum. Penso che sia una cosa molto buona per la Chiesa celebrare il rito della Messa nelle sue due forme. […] Il latino non è una lingua morta. È la lingua vivente della Chiesa. Dobbiamo ripristinare l’educazione nella lingua latina, nei seminari, nelle scuole. In effetti, oggi c’è un grande interesse per il latino, specialmente tra i giovani. Monsignor Daniel Gallagher, che lavora ora nella sezione latina della Segreteria di Stato, ha un corso estivo in latino sempre pieno. A molti piacerebbe partecipare, ma non è possibile perché spesso non ci sono abbastanza posti. Abbiamo sempre avuto messali, manuali e ci hanno permesso di seguire la messa in latino. La messa in latino non ha mai rappresentato un problema per me, anche quando ero un ragazzo. Ho capito che questa lingua è una lingua sacra, che attraversa i secoli attraverso il suo uso nella Sacra Liturgia. Inoltre, ricordo molto bene le persone che erano solite visitare la casa della mia famiglia quando ero un ragazzo, che ci raccontava di loro viaggi in paesi stranieri, dove andavano a messa, alla stessa Messa che facevamo. Questa è una cosa molto importante».
Così aveva dichiarato, qualche tempo fa, il cardinale americano Raymond Leo Burke intervistato dal maestro Aurelio Porfiri per il giornale O’Clarim (vedi qui). E su Benedetto XVI aveva detto: “è certamente un insegnante straordinario della fede. Ha un modo di scrivere e parlare in un modo accessibile a tutti. Ha anche un grande carisma: comunica una grande paternità negli incontri individuali e anche di gruppo. Una cosa che possiamo dire è che non voleva essere papa, non perché non volesse insegnare, perché era un grande maestro ancor prima di salire all’ufficio papale, ma a mio avviso, il governo della Chiesa, che non è facile per nessuno, ha rappresentato per lui una tremenda sfida. Così, ha lasciato ad altri di occuparsi di queste cose e ci sono alcuni che non lo hanno servito bene».
Sulla Cina il cardinale americano aveva spiegato che è “un paese molto importante e strategico” ma che ha sofferto per lunghi anni “a causa dell’ideologia comunista. La Cina ha bisogno di una costante evangelizzazione. Sappiamo che in Cina ci sono molti fedeli cattolici e persino grandi personaggi. Direi che dobbiamo continuare a dialogare con il governo cinese per rivendicare il più possibile il diritto della Chiesa di evangelizzare e svolgere la sua missione normalmente, come in qualsiasi altra nazione. Quindi è bene dialogare con il governo cinese, ma insistendo sempre sull’integrità della pratica cattolica e della fede”.