Il legame indissolubile tra Patria ed Esercito
Iniziamo da una domanda: cosa ci ha lasciato la prima guerra mondiale? La risposta la vorrei dare partendo da Giovanni Guareschi. Molti ricorderanno quel film, tratto dai suoi arcinoti romanzi di Don Camillo e Peppone, nel quale l’onorevole comunista sta partendo con una sua filippica antimilitarista e antinazionale nella piazza di Brescello e, naturalmente, il parroco impersonato da Fernandel non ci sta. Don Camillo, infatti, spara a tutto volume La canzone del Piave (1918) dagli altoparlanti del suo campanile ed ecco che, subito dopo le prime note, il Sindaco cambia completamente registro al suo discorso trasformandolo in una filippica estremamente patriottica che si conclude con un sincretico appello al «bene indissolubile del Re e della Patria» e, quindi, con un tonante «Viva la Repubblica e l’Esercito!» (1).
Cosa ci sta a indicare questa scenetta, sicuramente frutto di fantasia, che però non si allontana molto dallo spirito di quegli anni? Ci sta a indicare che anche dopo una terribile guerra civile era rimasto intatto un sentimento di condivisione, di solidarietà nazionale che aveva la meglio anche di tutte le diatribe e sulle sanguinose divisioni di una guerra civile crudele come quella da poco conclusa. Nel suo discorso finale il Sindaco “comunista” associa Patria ed Esercito mettendo assieme due temi che sono sempre stati pronunciati assieme, per indicare che senza le Forze Armate, senza l’Esercito, la Patria non può esistere! E stiamo parlando di una cultura che, nonostante tutto, arriva fino a noi. Ad esempio, la Costituzione Italiana, all’art. 87, pone in capo al Presidente della Repubblica «il comando delle Forze armate» per l’altissimo valore simbolico dell’Istituzione militare, mentre non prevede che sia Comandante delle Forze di polizia o della Protezione civile che, pure, sono realtà istituzionali importantissime per la nostra sicurezza collettiva.
Durante la 1^ Guerra Mondiale i nostri vecchi combatterono per la nostra indipendenza e per l’unità del paese, ed è triste constatare che la sovranità, che dell’indipendenza è un sinonimo, è diventata oggi motivo di divisione e non di unione. Negare la nostra sovranità, la nostra indipendenza implica l’idea, ripetuta da chi non ci vuole bene, che l’Italia sia un Paese di vigliacchi, di maneggioni, di corrotti, non in grado di amministrarsi da solo e da far amministrare ad altri. Ma tutto questo non è affatto vero! Pensiamo ai nostri padri, ai nostri nonni che hanno ricostruito l’Italia dopo la 2^ guerra mondiale. Loro non erano maneggioni, non era corrotti, era gente che sapeva lavorare e che si è spaccata la schiena per darci quella Nazione prospera e libera che, però, adesso stiamo lasciando andare…
Dovremmo invece prendere esempio da quei contadini di cent’anni fa, da quegli operai e da quegli studenti che, lasciati gli strumenti di lavoro e i libri per imbracciare il fucile, si sono fatti letteralmente grattugiare sul Carso. Magari non tutti capivano le ragioni della guerra, ma hanno obbedito alle autorità, affrontando prove durissime e consegnandoci una Patria libera e finalmente unita. Nei primi anni di guerra, la loro opera non era completamente compresa dal resto della nazione, che continuava, mentre erano al fronte, a godersi le proprie città al riparo dalle azioni del nemico, limitate al fonte. Ma venne Caporetto e l’Italia capì che doveva impegnarsi a fianco dell’Esercito, per sopravvivere: moltissime donne furono mandate nelle fabbriche a sostituire gli uomini nella produzione bellica, vennero creati gli Arditi che sfruttavano una nostra propensione antica al combattimento più feroce e si inventarono nuovi sistemi di guerra, come l’uso del paracadute che da strumento di salvamento per aerostieri venne utilizzato per la prima volta al mondo per infiltrare informatori dietro le linee austriache. Protagonista di questa azione innovativa e rivoluzionaria fu un Tenente degli Arditi, Alessandro Tandura (1893-1937), nonché altri tre Ufficiali italiani autori di azioni analoghe.
Inventammo anche la guerra psicologica, inaugurata per la prima volta al mondo dal volo su Vienna del 9 agosto 1918 del poeta-soldato Gabriele D’Annunzio. La sua fu una trasvolata, compiuta a capo di 11 Ansaldo S.V.A. dell’87ª Squadriglia Aeroplani, ideata appunto non per sganciare bombe ma per lanciare nel cielo della capitale austriaca migliaia di volantini di propaganda filo-italiana. A quel tempo non c’era internet, non c’era la radio o la televisione, ma c’era il coraggio di un pilota che arrischiava la sua vita per lanciare con un volantino il suo grido di amore per l’Italia.
Oggi, azioni del genere vengono effettuate da reparti appositi, specializzati nella disseminazione di messaggi volti ad influenzare il morale nemico, o comunque delle opinioni pubbliche in qualche modo coinvolte nelle nostre attività. Per queste cose, venimmo temuti ed ammirati al tempo stesso, come testimoniato anche dalle pagine di Hemingway, letteralmente affascinato dal vigore degli Arditi, da lui descritti come i migliori combattenti che potessero esistere. Tutte cose, queste, che dimostrano la falsità dei luoghi comuni imposti con un certo compiacimento anche da molti nostri intellettuali, circa una sorta di vigliaccheria dell’Italiano, come se fosse negato per la militarità in genere e per il combattimento. Loro dimostrarono che non è vero. Ecco, dopo Caporetto furono anche chiamati alla leva i “ragazzi del ’99”,i diciottenni di allora e vennero richiamati anche i più anziani degli anni ’80 del 19mo secolo che avevano già prestato il servizio militare (di tre anni) precedentemente. L’Italia, insomma, si ammassò sul Piave e nell’inverno del 1918 sfondò per prima le difese degli Imperi Centrali portando alla fine della guerra e alla Vittoria che ha completato l’unità del paese. Ed è per questo che fino a poche generazioni fa, tutti gli Italiani si riconoscevano nella festa del 4 novembre, festa inclusiva per antonomasia nella quale ci celebravamo in quanto Italiani e non in quanto Repubblicani contrapposti ai Monarchici come nel 2 giugno o in fascisti contrapposti ad antifascisti il 25 aprile. Eravamo un popolo orgoglioso di avere combattuto e vinto unito, grazie agli Interventisti, agli Antinterventisti, ai Socialisti, ai Cattolici, nonché a quelli che sarebbero poi diventati i Fascisti, confluiti tutti nelle stesse unità, tutti coesi contro il nemico comune di allora. Eravamo un popolo con la consapevolezza che la “Vittoria” era stata il frutto dell’unità trovata nelle trincee che, invece, a partire presso a poco dal Sessantotto in poi, è stata progressivamente dimenticata.
Quei soldati combatterono per la nostra sovranità che è il valore supremo per il quale ancor oggi giurano i militari ma anche i nostri governanti. Combatterono per i nostri confini, non solo territoriali, ma culturali, spirituali, religiosi che ci caratterizzano come Paese con una cultura di fondo comune, materializzata ad esempio nelle stesse effigi della Madonna che veneriamo in tutta la Penisola, nelle stesse chiese. È l’esistenza di questi “altri” confini che rende assurdo lo Ius Soli, che poteva forse avere senso per gli Stati Uniti d’America – anche se ora Trump vuole ridiscuterlo – all’origine del loro “farsi nazione” senza farsi scrupolo di ricorrere all’immigrazione ed addirittura allo schiavismo per riempire gli enormi territori che aveva sottratto ai nativi.
Le nostre Forze armate soffrono di questa situazione, e dovremmo ritornare a considerarle per quelle che sono, uno strumento per promuovere l’interesse nazionale che la Comunità Internazionale ha spesso calpestato, come nel caso della guerra alla Libia. Ecco quindi la scorrettezza di utilizzare i nostri soldati a fare da piantoni davanti ai palazzi delle Istituzioni, confondendoli così con le Forze dell’ordine che, per quanto importantissime, hanno una natura e scopi completamente diversi.
Essere “sovranisti” senza porsi queste questioni e senza focalizzare la realtà delle Forze Armate significa essere sovranisti-farlocchi. La sovranità si basa infatti sicuramente sulla moneta ma anche e indissolubilmente sulle Forze armate. E, senza queste ultime, il paese non può diventare Patria. Non può essere Stato.
Dalla sceneggiatura del film Don Camillo e l’onorevole Peppone, ecco il testo integrale del discorso del sindaco comunista di Brescello che chiude la campagna elettorale per le politiche: «Cittadini lavoratori! Prima di presentarvi il compagno indipendente avvocato Cerratini voglio dire due parole alla reazione clericale, atlantica e guerrafondaia che tutti ben conosciamo, a quegli sporchi corvi neri che parlano di patria, di sacri confini minacciati e di altre balle nazionaliste che la Patria siamo noi, la Patria è il Popolo! E questo popolo non combatterà mai contro il glorioso Paese del socialismo che porterà al nostro proletariato oppresso la libertà e la giustizia! E voi giovani che andate nelle barbare caserme, direte a coloro che tentano di armarvi e di usarvi per i loro sporchi interessi, direte a coloro che diffamavo i lavoratori… [dal campanile della chiesa di Don Camillo si levano le note della Canzone del Piave] …direte ai calunniatori del Popolo, direte che i vostri padri… [gli occhi di Peppone iniziano a farsi lucidi] …hanno difeso la Patria dal barbaro invasore che minacciava i sacri confini e che noi del [18]’99 che abbiamo combattuto sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave saremo sempre quelli di allora e che quando tuona il cannone è la voce della Patria che chiama e noi risponderemo “Presente!” [Don Camillo dalla torre campanaria si mette sull’Attenti e sussurra “Presente!”]. Noi vecchi che abbiamo sul petto le medaglie al valore conquistate sul campo di battaglia ci troveremo come allora a fianco dei giovani e combatteremo sempre ed ovunque, getteremo l’anima oltre l’ostacolo e difenderemo i sacri confini d’Italia contro qualsiasi nemico, dell’Occidente e dell’Oriente, per la difesa del Paese e al solo scopo del bene indissolubile del Re e della Patria! Viva la Repubblica, viva l’Esercito!».
Sintesi della relazione del
Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia
Generale Marco Bertolini
al convegno “L’Italia e la sua Vittoria, 1918-2018”
(Roma, Camera dei Deputati, 6 novembre 2018)
Pubblica su Il Corriere del Sud
n. 10, anno XXVII/18, p. 3