Identità maschile e femminile: l’una indispensabile all’altra
«Mi chiedo se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza perché non sa più confrontarsi con essa». Queste ferme parole di Papa Francesco, pronunciate nell’udienza pubblica di mercoledì 15 aprile 2015, incoraggiano a non farsi intimidire dalla «colonizzazione ideologica» che i fautori della teoria del gender stanno tentando in Italia e in tutto il mondo occidentale. «Abolire la differenza tra il maschile e il femminile– ha commentato in proposito il direttore della rivista mensile “Studi Cattolici” – auspicando una sorta di neutralità sessuale è una guida all’infelicità, oltre che un’aberrante contorsione mentale.È bene attrezzarsi culturalmente per non farsi intimidire da questa pervasiva campagna d’opinione» (Cesare Cavalleri, Consiglio per chi parla di gender: imparate dall’uomo selvatico, in Avvenire, 22 aprile 2015). Un ottimo sussidio bibliografico da quest’ultimo punto di vista è “Il maschio selvatico/2” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015, pp. 288, euro 14,50), nuovissima edizione, aggiornata e ampliata, di un libro di grande successo pubblicato nella sua prima ed originaria versione, ben ventidue anni fa, dallo psicologo e psicoterapeuta Claudio Risé. Il saggio spiega come l’ideologia del gender metta oggi «sotto scacco non solo la natura, cui si cerca di sostituire un mondo totalmente “fabbricato”, costruito da strumenti e processi meccanici e tecnici, ma anche l’uomo e la donna, l’essere umano sessuato». Risé raccoglie quindi la sfida che l’ideologia del gender, contrastata anche dagli omosessuali che non si sentono rappresentati dalla lobby LGBT (cioè di Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali),sta lanciando con grandi risorse mediatiche. Egli denuncia come nell’attuale società mediatica, sradicata e dominata dalla pseudo-cultura di massa, «all’uomo si chiede, e spesso si impone con forza, di rinunciare a essere maschio. Questo diktat è oggi all’origine di buona parte dei disturbi presenti nel mondo maschile».
Il maschio, il vero Eroe
Con l’Isis sull’altra costa, la natalità a zero, gli aborti tanti quanti gli immigrati, i “matrimoni” gay, l’ideologia del “gender”, i giornali che rilanciano le pretese di vecchie e nuove lobbies, non è più possibile continuare così! Continuare cioè a indebolire se non a demolire la famiglia demonizzando l’uomo, il suo ruolo paterno e l’identità maschile in generale. Il libro di Risé rappresenta un potente invito a tornare al senso profondo della natura del maschio che salva, come accennato, anche dall’ideologia della “neutralità sessuale” (il “genere” che vorrebbe prendere il posto del sesso biologico).
Quando Charles Péguy (1873-1914) parlava del padre di famiglia come del vero eroe del mondo moderno, sentiamo allora dal più profondo del cuore che aveva, e che ha, del tutto ragione. Basta del resto guardarsi intorno per vedere gli attacchi, le difficoltà e i drammi che si trova a fronteggiare ogni famiglia.
Claudio Risé parla di un vero «“character assassination” del genere maschile», e di «una vasta campagna di denigrazione tesa a distruggere credibilità e reputazione di un intero gruppo sociale». Come se ne può uscire?
Il ritorno alla natura
Innanzitutto con il ritorno alla natura. Il “maschio selvatico” è infatti l’uomo che conosce la natura profonda e incontaminata, è il tipo umano capace di “salvarsi” sia fisicamente sia spiritualmente, insegna Risé. Proprio la natura è «lo scenario simbolico dell’incontro tra maschile e femminile»: «l’amore profondo tra uomo e donna è un profondissimo evento naturale, non un prodotto culturale. Anche se la cultura lo racconta e lo arricchisce».
È affascinante seguire questo studioso di formazione e orientamento psicoanalitico junghiano nelle sue incursioni nei miti celtici, accompagnarlo mentre ripercorre l’iniziazione di Parsifal, ascoltarlo quando commenta le Elegie duinesi del poeta Rainer Rilke (1875-1926). E le sue argomentazioni sono suffragate dagli esempi attinti dalla sua esperienza di analista: un sogno può rivelare molto di più di ciò che percepiamo a livello di coscienza.
Di particolare interesse sono le sue pagine in cui mette a confronto due antropologi contemporanei tedeschi, le cui ricerche hanno valore anche per gli psicologi: Norbert Elias (1897-1990), «studioso della civiltà delle buone maniere», e Peter Hans Duerr (1929-2014), conoscitore della Wildnis, cioè «la condizione selvaggia». Risé, come facilmente si deduce dalle cose fin qui dette, propende per Duerr, dato che la civiltà delle buone maniere «produce solo un sistema di inibizioni altamente sofisticato, che allontana l’uomo dai suoi contenuti originari e dai suoi più profondi orientamenti morali». Non si tratta, certamente, di vagheggiare un ritorno alla foresta, ma di prendere coscienza che la riduzione della natura a mero spazio di piacere, come impone l’ideologia egemone, esprime un’immagine di uomo «regredito a un’imitazione dell’infanzia, incapace di partecipare alla realtà se non in termini di godimento protetto».
Invece, «nella natura selvaggia, e nella ricerca di essa dentro di sé, l’uomo cerca e trova la non eludibile contiguità tra vita e morte, tra gentilezza e ferocia, la conoscenza della realtà propria dell’istinto, cacciato lontano da ogni civiltà delle buone maniere».
Tutto questo, sostiene Risé, è molto lontano da qualsiasi romantico «smarrirsi nel primitivo». Duerr insiste molto sul ritorno, dopo un’arcaica esperienza di pienezza, alla dimensione abituale.
5 domande e risposte
“Il maschio selvatico 2” è un cult book che, ora che il “delitto”della svirilizzazione dell’uomo e della società è sotto gli occhi di tutti, pone nuove domande e offre nuoverisposte. Di seguito, in estrema sintesi, ne riportiamo cinque.
- Perché rimpiangere il maschio selvatico? L’uomo ha cominciato a star male, fisicamente e psicologicamente, dice Risé, quando si è allontanato dalla natura, sposando uno stile di vita robotico. Il “selvatico” teorizzato dallo studioso è invece capace di un appassionato rapporto con l’ambiente incontaminato, «non per ragioni estetiche o di performance sportiva» ma perché vi trova «pienezza e benessere fisico, spirituale e creativo». L’allontanamento dalla Wildnis intesa anche come luogo selvaggio, avrebbe minato anche i rapporti fra i sessi: «Nelle antiche saghe, il selvatico vede la fanciulla in una radura, se ne innamora e la prende sul suo carro: questa immediatezza oggi è aborrita dentro relazioni costruite dalla A alla Z, intellettualizzate, mentre l’amore è la scoperta dell’altro dentro di te, è il bosco dove scopri la bambina a cui vuoi bene».
- Perché parlare del maschile è diventato “politicamente scorretto”? Quando nel 1992 Risé pensò il suo primo Maschio Selvatico, molti provarono a dissuaderlo. Ma qual è lo specifico maschile che disturba? La risposta fa riflettere: «I moderni sistemi economici e politici hanno spinto le donne nel mondo del lavoro per poterle sfruttare e pagare poco. Per indurle all’affermazione, era necessario costruire l’immagine di un uomo predatore e distruttivo, da demolire. In quest’ottica, il maschio selvatico imbarazza perché non è aggressivo e cade innamorato delle donne».
- Perché il maschio contemporaneo è insicuro e debole? Oggi l’uomo è “il colpevole”, deve chiedere scusa, è un mostro o un cretino, a prescindere. I ragazzi non scrivono più sui muri “Jessica ti amo”ma “Jessica ti chiedo perdono”. «La cultura della colpa» spiega Risé «è comoda anche per i maschi, i quali, chiedendo scusa, possono dirsi che è tutto a posto e accantonare la responsabilità di mettere a fuoco il loro progetto di vita e di relazione».
- Le pratiche sessuali definiscono davvero l’identità di una persona? Mentre avanzano nuove teorie di genere e lo scientista Umberto Veronesi ha sostenuto che saremo tutti bisessuali, in molte scuole italiane si è eliminata dai moduli la dicitura “madre e padre” a favore di pseudo-identità come“genitore 1 e genitore 2”. «Si fa confusione tra identità e orientamento sessuale», accusa Risé, «il genere è fondativo dell’identità della persona, le pratiche sessuali sono una cosa diversa». Nell’azzerare le differenze, a partire dal linguaggio, stiamo ingabbiando le identità in schemi che escludono la ricchezza espressiva, affettiva e spirituale, dei maschi in particolare.
- Potremo davvero fare a meno dei maschi? Qualcuna teorizza che presto la donna gestirà totalmente la maternità con la fecondazione artificiale e sarà la disfatta totale del maschio, relegato a facchino, giardiniere, uomo di fatica. Ma siamo sicuri che il mondo funzionerà meglio? «Il maschile e il femminile sono aspetti presenti dentro di noi, non possiamo distruggerli senza creare un disastro nella psiche. E non è vero che i figli senza padre stanno benissimo, gli studi in proposito affrontano archi temporali brevi, sono organizzati su base volontaristica e non sono attendibili» assicura Risé.«Buona parte della propaganda sulla maternità senza padri è spinta dagli interessi delle società di ingegneria genetica e biotecnologica».
Infine, una postilla sulle donne. Oltre al “maschio selvatico” si sono perdute anche «Le donne selvatiche», titolo di un libro scritto dal prof. Risé con la moglie Moidi Paregger, sempre per le Edizioni San Paolo. «Le donne che seguo in analisi non sono gratificate, né rinfrancate dal sistematico assassinio del maschile» osservano. Insomma, gli studi di Risé ci confermano che l’identità maschile e quella femminile sono complementari. Rimangono e quindi non potranno che rimanere sempre l’una indispensabile e, diremmo, “indissolubile”, all’altra.
GIUSEPPE BRIENZA
In Il Corriere del Sud
n. 8, Anno XXIV/2015, p. 3