Magistratura e politica in Italia: cosa sta succedendo, come riparare?
Il 20 giugno il Comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha decretato l’espulsione del pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione. È la prima volta che un provvedimento così drastico viene assunto nei confronti di un ex presidente dell’ANM, al centro dell’attenzione politico-mediatica negli ultimi mesi anche a causa delle intercettazioni con giudizi politici contro il leader della Lega Matteo Salvini. Palamara è stato espulso dal del “sindacato delle toghe” perché giudicato responsabile di gravi e reiterate violazioni del codice etico dei magistrati. Davanti a tale grave provvedimento, avverso il quale non ha potuto nemmeno minimamente difendersi, l’interessato ha replicato: «Non farò il capro espiatorio di un sistema».
Per capire quali danni all’ordinamento democratico ha portato la collusione tra magistratura e politica sinistra in questi anni bisogna forse partire da almeno due fondamentali articoli in materia presenti nella Costituzione Italiana del 1948. Cominciamo dall’art. 104, il quale costituisce la magistratura come «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Proseguiamo quindi con l’art. 105, secondo il quale «spettano al Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati».
Pensiamo ora solo per un attimo al rapporto che può intercorrere tra un altissimo magistrato, peraltro esponente di una delle correnti di destra dell’ANM come Palamara e il PD. La moglie del magistrato ha un incarico dalla Regione Lazio a guida piddina; il magistrato ha incontri notturni con un alto esponente del partito in cui discutono chi deve essere promosso e chi no; si complimenta con il neogovernatore piddino del Lazio Zingaretti; discute delle nomine alla procura di Napoli con altissimo esponente piddino; ha rapporti preferenziali con giornalisti di nome in giornali di sinistra di primissimo piano.
Bisogna sgombrare il campo da dubbi. Non sembra che queste intercettazioni abbiano rilievo penale. Quindi, da una parte, esiste perfino la possibilità che quel magistrato possa un giorno tornare ad esercitare.
Ma, torniamo ai fatti, che ci pongono di fronte – chiaramente – ad un problema di mancanza di autonomia e indipendenza.
E qui c’è il patatrac. Perché, se questa situazione esiste – e non abbiamo dubbi al riguardo – ed esiste da anni, da decenni – ed anche in questo caso siamo sicuri – allora chi doveva garantire che questo non accadesse ha mancato. Il CSM ha mancato di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, perché ne ha dato un’interpretazione tale da disegnare il magistrato come una figura con un potere enorme a cui non è correlato alcun dovere e nessuna sanzione (ci ricordiamo quando il PM Antonio Di Pietro disse che l’errore del magistrato si configura solo se il “dichiarato morto” è invece “vivo”?). Perché la responsabilità disciplinare fa capo al CSM, che la esercita in maniera tale da renderla vuota di ogni contenuto. Perché la assegnazione dei magistrati ai posti scoperti viene fatta con nomine che sono concordate in via preventiva all’interno della quella grande camera di compensazione fra interessi contrapposti che è l’ANM. E siccome la maggioranza dei componenti del CSM è espresso dai magistrati che sono iscritti nella ANM, questa determina le decisioni di quello.
In questi giorni c’è chi ha chiesto lo scioglimento dell’ANM, individuando lì il problema, nei suoi giochi di potere, nelle logiche spartitorie correntizie, nella volontà – proterva – di gestire il potere che caratterizza quel sindacato. Non vi è dubbio che ci sia una parte di ragione in tutto ciò. Ma tuttavia, sebbene sia personalmente favorevole allo scioglimento della ANM, non credo che questo risolverebbe il problema. La ANM riunisce il 90% dei magistrati, con la più alta percentuale di sindacalizzazione italiana. Troverebbero un altro modo di riunirsi, sotto altro nome. No. Il problema sta nel funzionamento del sistema.
E qui intenderebbe incidere il ministro della Giustizia Bonafede. È necessario – per il ministro – porre «al centro del progetto […] un nuovo sistema elettorale sottratto alle degenerazioni del correntismo», individuare meccanismi «per arrivare a nomine ispirate soltanto al merito» ed introdurre la «netta separazione tra politica e magistratura con il blocco delle cosiddette “porte girevoli”». Cosa significhino esattamente queste parole non è dato ancora saperlo. Le uniche che sembrano in qualche maniera avere un contenuto di cui nei mesi scorsi si è parlato sono quelle relative al nuovo sistema elettorale.
Come sappiamo, il CSM deve essere eletto dai magistrati, lo dice la Costituzione. Una delle proposte in campo è quella che prevede l’elezione fra un certo numero di candidati estratti a sorte in precedenza. Questo artificio consentirebbe di spezzare il collegamento tra correnti ed eletti al CSM. Altra ipotesi, l’introduzione di collegi uninominali con possibilità di ballottaggio (a questa soluzione sarebbe contraria la corrente davighiana di Autonomia e Indipendenza, che «auspica che la riforma della legge elettorale del CSM. venga attuata facendo ricorso ad un modello di tipo proporzionale», ma in realtà se non si passa al sorteggio resterà tutto inevitabilmente come prima.
Questo perché le correnti si spartiranno i posti, le sedi, le candidature, esattamente come nel 1994 e nel 1996 i partiti si spartirono i collegi uninominali con gli accordi di desistenza. Il sorteggio è l’unico modo. Per quanto riguarda il merito, è indiscutibile che non si possa prescindere dalla valutazione delle capacità dei magistrati che quello del magistrato è un lavoro così fisiologicamente esposto agli errori, che sarebbe assurdo pretendere un risarcimento personale del danno. Ci sono due casi, però, in cui secondo me il magistrato dovrebbe rispondere direttamente.
Un primo caso è quando il magistrato non si aggiorna e finisce per applicare una legge sbagliata, il secondo è quando non conosce il processo, cioè non legge le carte come dovrebbe. In questo caso siamo di fronte a errori non scusabili, ma sarebbe inutile pensare di poterli correggere facendo pagare in denaro il giudice che li ha commessi, anche perché il magistrato è sempre assicurato, dunque non sarebbe neanche minimamente toccato in modo diretto nel portafogli. Andrebbe sanzionato severamente nella progressione della carriera, fino alla destituzione.
Mauro Rotellini