Esposto del prof. Caliari contro Giuseppe Conte: “ha agito come un Caudillo sudamericano”

Esposto del prof. Caliari contro Giuseppe Conte: “ha agito come un Caudillo sudamericano”

L’imprenditore veronese, residente a Brescia, professor Gian Pietro Caliari, ha presentato un esposto-denuncia (redatto con l’avvocato bresciano Alessandro Pozzani) nelle Procure di Brescia, Bergamo, Napoli, Torino, Venezia, Bolzano e Milano in relazione a circa tre milioni di danni subiti a causa del lockdown.

Prof. Caliari, lei ha depositato un esposto alla Magistratura in relazione al primo dei provvedimenti presi dal Governo in materia di Covid. Perché l’ha fatto?

Il mio esposto – è bene precisarlo subito – non è stato depositato al fine di contestare la deliberazione del 31 gennaio scorso, con la quale il Consiglio dei Ministri deliberava lo “stato di emergenza per la durata di sei mesi”. Al contrario, presa conoscenza di tale deliberazione, l’esposto ha lo scopo di far asseverare e accertare le eventuali responsabilità di coloro che erano tenuti a salvaguardare gli interessi e i diritti soggettivi, sia personali e sia della collettività nazionale, anche nella situazione che si stava delineando, vale a dire l’espansione della pandemia. Questo, per quanto riguarda il richiamo iniziale dell’esposto che, poi, prende in esame l’intera vicenda. Per quanto riguarda le motivazioni profonde che mi hanno spinto a questa scelta, credo sinceramente siano tre. Nel suo celebre Discorso agli ateniesi, Pericle giustamente sosteneva che: “un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita a una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla”. I greci antichi, infatti, avevano due distinte parole per classificare il cittadino: il πολιτικός, politicos, quello che si interessa al bene della πόλις, polis vale a dire della comunità, e l’ῐ̓ δῐώτης, idiotes, che invece se ne disinteressa. Ecco, in primo luogo, da cittadino e avendo avuto anche il privilegio di servire per anni il mio Paese in Patria e all’estero, non ho nessuna voglia di essere o di essere considerato un idiota! Da cattolico, poi, considero che verità, libertà e amore siano il cuore dello straordinario e perenne messaggio di Cristo. L’evangelista Giovanni dedica ben 5 interi capitoli del suo Vangelo, dal capitolo 13 al 17, per riproporre ciò che Gesù ha insegnato agli Apostoli nell’ora della sua Passione: la verità che rende liberi, la libertà che permette di accedere alla verità tutta intera, e verità e libertà che danno accesso alla pienezza della conoscenza e dunque dell’amore: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Giovanni 14, 23-24). Infine, di questi tempi tanto nella scena politica italiana quanto – ahimè – nella Chiesa, molti sembrano rassegnarsi come Tacito di fronte alla sfrontatezza e all’arroganza del potere: “Rara temporum felicitas, ubi sentire quae velis, et quae sentias dicere licet” – scriveva Tacito – “Rara è la felicità dei tempi in cui è lecito pensare ciò che vuoi, e dire ciò che pensi”. Da cittadino, da cattolico e da uomo di studio credo che non era possibile rimanere indifferenti e inerti. Su entrambi i fronti, è giunto il tempo di reagire.

Il Presidente del Consiglio ha fatto uso estensivo dei DPCM negli ultimi mesi. Grazie a questi provvedimenti si sono limitate fortemente alcune libertà personali dei cittadini. Era, è legittimo?

Credo sia giuridicamente fondato affermare che i DPCM, quali meri atti amministrativi, sono stati e sono illegittimi quando i loro effetti confliggono, sovvertono e sopprimono libertà e diritti che i Padri Costituenti hanno, invece, riconosciuto nella Carta Costituzionale come personali, indisponibili, insopprimibili, inviolabili e irrinunciabili. I DPCM, poi, sono un atto di un organo monocratico, vale a dire del solo Presidente del Consiglio dei Ministri, svincolato sia dalla convergenza di una decisione collegiale del Consiglio sia da un preventivo controllo di costituzionalità del Capo dello Stato e da una successiva conversione in legge da parte del Parlamento, come avviene invece con i Decreti Legge e come la nostra Costituzione prescrive inderogabilmente per la decretazione d’urgenza. Non dimentichiamo, poi, che il D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 nasce come provvedimento volto ad introdurre misure su base locale (c.d. zone rosse) e solo successivamente estese a tutto il territorio nazionale. Questo D.L. fa una elencazione di disposizioni limitative della libertà personale e dei diritti fondamentali e, al contempo, autorizza il Presidente del Consiglio dei Ministri ad adottare ogni ulteriore misura di contenimento o di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica. Si tratta, in tutta evidenza, di una disposizione totalmente generica che, preventivamente, si svincola dal criterio della tassatività delle misure adottabili sulla base di una clausola in bianco che fa riferimento a non meglio precisate “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19 anche fuori dei casi di cui all’articolo 1” e che l’amministrazione può adottare a scapito delle libertà e diritti individuali fondamentali.

Quali sono le accuse specifiche per violazioni che il suo esposto sottolinea? E chi sono i responsabili indicati nel documento?

Un esposto per sua natura – a differenza della querela – espone appunto solo circostanze de facto, circa le svolgimento di fatti, e de jure, circa il diritto vigente e cogente, nello specifico dell’Ordinamento democratico e costituzionale della Repubblica Italiana, non solo ma anche in relazione agli obblighi internazionali che l’Italia ha liberamente assunto in fonti di diritto pattizio, quali Accordi, Trattati e Convenzioni Internazionali. Ad esempio, con l’Accordo Stato e Chiesa di Villa Madama del 1984. È così compito della Procura della Repubblica asseverare i fatti, anche attraverso appropriate indagini, e sulla base del diritto vigente, individuare le violazioni e i responsabili, gli eventuali complici e anche l’eventuale movente se si rappresentino delle fattispecie penali. Prima facie, mi sembra ragionevole affermare che siamo in presenza di omissioni colpose e dolose, con riguardo all’attività di controllo e gestione di situazioni gravi come il diffondersi di malattie infettive e anche alla necessità di accertare se i comportamenti tenuti – fra cui tacere circa la gravità della Dichiarazione dello stato di emergenza, veicolare per mesi rassicurazioni sia sulla possibilità che il contagio giungesse in Italia sia, poi, sullo stato di preparazione ad affrontare l’eventuale contagio – abbiano coscientemente impedito l’adozione di salvaguardie che avrebbero potuto impedito il verificarsi dei presupposti di una procurata epidemia. Considerando, poi, che l’ordinamento repubblicano non prevede lo “stato d’emergenza” – esplicitamente escluso benché discusso dai Padri Costituenti, ma solo lo “stato di guerra” (ex art. 78 della Costituzione), appare ragionevolmente e giuridicamente fondato affermare che in assenza di esplicite previsioni costituzionali, altri circuiti normativi di gestione dell’emergenza – in eccezione a quanto previsto per i Decreti Leggi – non possono che essere considerati contra Constitutionem.

L’esposto è stato presentato in diverse sedi. Perché?

Proprio per permettere alle differenti procure interessate, situate in distinte regioni, di meglio accertare fatti e responsabilità, che se a livello nazionale sono più facilmente accertabili, meno lo sono a livello locale. Inoltre, più Procure della Repubblica potranno acclarare i fatti e vagliare la loro rilevanza giuridica.

Che cosa dovrebbe accadere adesso? Se una Procura accettasse il suo esposto, che cosa potrebbe succedere?

L’esercizio dell’azione penale sulla scorta di quanto esposto da una persona di cui sono stati “offesi” interessi legittimi per quanto accaduto, compete alla Procura e dagli organi da quest’ultima deputati a indagare. Nel caso, fosse accertata la commissione di uno o più reati, la conseguenza potrebbe essere la richieste di tutela e risarcimento da parte di tutti coloro, vale a dire tutti i cittadini italiani, i cui interessi legittimi sono stati lesi. La posta in gioco è, tuttavia, molto più importante e – direi – vitale come, infatti, scrivo verso la conclusione dell’esposto: “il gravissimo vulnus iuris, che il comportamento superficiale delle autorità preposte, ha già provocato ed è suscettibile – se non venisse adeguatamente sanzionato dall’autorità giudiziaria – di generare un danno irreversibile all’ordinamento costituzionale della Repubblica Italiana; e di conseguenza una permanente e radicale violazione delle libertà fondamentali e dei diritti dei cittadini, così come non solo costituzionalmente garantiti, ma anche come definiti dai trattati e dalle convenzioni internazionali liberamente ratificati dal Parlamento Repubblicano”. Non dimentichiamoci ciò che scriveva Jean Jacques Rousseau: “la libertà si conquista, ma se la si perde nuovamente è ancor più difficile riconquistarla”.

A suo giudizio come si è comportato il Presidente della Repubblica?

Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale e per questo l’articolo 87 della Costituzione gli affida un imprescindibile potere di “autorizzazione per la presentazione dei disegni di legge del Governo alle camere”; di “emanare i decreti leggi e i regolamenti” e, inoltre, di “promulgare le leggi”. In questo i Padri Costituenti hanno affidato al Presidente della Repubblica un ruolo di garanzia preventiva rispetto a tutti gli atti promulgati dal Governo. Il Presidente del Consiglio ha caparbiamente usato del DPCM per sfuggire al sindacato preventivo del Colle. Una caparbietà che, forse, troppo incautamente gli è stata concessa. Così, troppo a lungo, si è sopportato che chi ha la responsabilità politica dell’azione del Governo della Repubblica si muovesse disinvoltamente come sul set di un Grande Fratello, e non nelle forme e nei modi dettati in Costituzione, e agisse indisturbato come un qualsiasi Caudillo sudamericano.

ANGELICA LA ROSA

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