L’omosessualismo di Avvenire e la replica alla risposta di Luciano Moia

L’omosessualismo di Avvenire e la replica alla risposta di Luciano Moia

 

Don Paolo Cesarini, un anziano sacerdote, ha scritto al quotidiano “di ispirazione cristiana” Avvenire (vedi qui) criticando (e definendo “fuorviante”) il titolo a pagina 18 del giornale di sabato 23 maggio (“Il libro. Il cardinale Zuppi: gli omosessuali? La diversità di tutti è ricchezza”) con la presentazione di un libro sul tema dell’omosessualità di persone credenti, ed ha specificato che quel titolo sembra dimenticare “che è in gioco un comportamento moralmente negativo che sconvolge la vita morale e l’equilibrio della persona che agisce in questo modo. Certamente tali persone, essendo nostri fratelli e sorelle, non vanno emarginati e discriminati, ma dove è possibile, vanno anche esortati a non cedere a questi comportamenti che vanno contro la legge di Dio. Chiamiamo i fatti e i comportamenti con il loro nome per evitare che questo modo di vivere sia banalizzato e sia quasi accettato tranquillamente. Lo stile di Avvenire dev’essere sempre equilibrato, corretto, rispettoso e chiaro in campo morale, affermando la verità anche quando può andare controcorrente, condannando i comportamenti negativi, anche se mai discriminando o perseguitando nessuno”. Così la pacata lettera di don Cesarini.

Luciano Moia ha risposto che quel titolo non esprime “una valutazione etica dei comportamenti omosessuali. La distinzione tra atti e orientamenti è – lo sappiamo bene anche noi, caro don Paolo, pur senza la sua sapienza – un punto fermo della teologia morale. Ma, scrive Zuppi, ‘un orientamento sessuale – che nessuno ‘sceglie’ – non è necessariamente un atto’. Quindi accogliendo una persona ‘non possiamo prescindere dal suo orientamento’. Che non vuol dire giustificare il peccato, ma aiutare tutti – e qui, sì, a prescindere dall’orientamento sessuale – a trovare il modo migliore ‘per fare la volontà di Dio nella propria vita’, come scrive il Papa in Amoris laetitia . Si tratta di un compito impegnativo e difficile, certamente, perché obbliga le nostre comunità, cito ancora Zuppi, ‘a guardare le persone come le guarda Dio, anche le persone omosessuali’. E questo, come dice lei, proprio per cercare e affermare la verità e condannare i comportamenti negativi senza discriminare nessuno. Neppure chi ha un orientamento sessuale diverso, perché proprio questa sua diversità può rappresentare una ricchezza sollecitandoci a riflettere, con umiltà, sulla nostra concreta umanità e sulla varietà dei doni e delle prove che Dio ci manda. La sintesi di quel nostro titolo, che lei considera ‘fuorviante’, può non aver reso giustizia a un tale ricchezza e solidità di approccio al problema della fede delle persone omosessuali e del loro cammino di credenti nella Chiesa, ma il nostro lavoro è esattamente questo e così la nostra intenzione”.

A Luciano Moia ha risposto, con dovizia di particolari la bioeticista Giorgia Brambilla. Questa la sua risposta:

Non è corretto parlare di “persona omosessuale” o “omosessuali”: ci induce a pensare che la persona in questione appartenga a una variante della specie umana, diversa dalla variante eterosessuale e non è così. Anche il Magistero riconosce l’omosessualità come “accidente” e non come “sostanza”.

Dunque, è meglio parlare di “persona CON inclinazione omosessuale” e di “attrazione verso lo stesso sesso” (SSA) e non di omosessualità.

L’orientamento, ma sarebbe meglio chiamarla “inclinazione”, non costituisce una colpa, ma resta “oggettivamente disordinata” (CCC n. 2358). Dunque, l’inclinazione omosessuale non è né un “dono”, né una “ricchezza”, a differenza di quanto scritto nella “risposta”.

Si fa un parallelismo tra chiesa e famiglia, dove i membri sono “simili e diversi” e tutti vengono accolti. Ma quella presentata ha i toni di un’accoglienza passiva e superficiale. Dunque, se si deve ispirare a ciò che avviene in famiglia, l’inclusione deve passare anche attraverso la correzione, per il vero bene della persona: si chiama sollecitudine.

Non tutte le persone CON un’ATTRAZIONE verso lo stesso sesso tramutano in ATTO SESSUALE la loro inclinazione.
Dunque, la distinzione tra il sentire e il consentire è giusto che vada fatta, senza “naturalizzare” la sensazione e rimarcando la gravità dell’atto (che è un peccato contro natura).

Si dice di voler «integrare le persone omosessuali credenti nella pastorale ordinaria», ma parlarne in questi termini significa rimarcare una separazione e una diversità che non sussistono.

Dunque, non sarebbe meglio parlare tanto e bene dell’importanza della CASTITÀ, che è la vera via che purifica e dona pace a chi ha un’inclinazione omosessuale?

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