Ortodossi e politici tacciono mentre Santa Sofia rischia di ridiventare moschea
Una preghiera islamica, la Sura della Conquista, è stata recitata la sera del 29 maggio presso Santa Sofia a Istanbul per il 567/mo anniversario della conquista ottomana di Costantinopoli.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha seguito in videoconferenza l’evento. Santa Sofia, prima basilica cristiana e poi moschea, è stata trasformata in un museo da Mustafa Kemal Ataturk nel 1935. Ma quanto accaduto solleva molte preoccupazioni.
In epoca bizantina Santa Sofia era la chiesa più prestigiosa della cristianità ma divenne moschea con la presa di Costantinopoli da parte degli ottomani nel 1453.
L’edificio da 85 anni è un museo ma molti musulmani vorrebbero che tornasse ad essere una moschea. E il presidente Recep Tayyip Erdogan è apertamente schierato con loro.
Intervistato dalla fondazione pontificia internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) il dottor Etienne Copeaux, storico della Turchia contemporanea, ha recentemente dichiarato che “la richiesta di restituzione di questa basilica del VI secolo al culto musulmano ha acquistato forza dal 500° anniversario della conquista di Costantinopoli nel 1453. Al momento della presa della città (la Fetih), il sultano andò a celebrare la vittoria a Santa Sofía, trasformandola ipso facto in una moschea”.
Per lo studioso “questo gesto conferì un carattere sacro e musulmano alla basilica, che divenne un simbolo dell’islam turco, anche se paradossalmente le venne lasciato il suo nome greco e cristiano, Aya Sofia. Atatürk, fondatore e primo Presidente della Repubblica di Turchia dal 1923 al 1938, decise nel 1934, con grande scandalo dei chierici, di ‘secolarizzare’ Santa Sofia, trasformandola in un museo, cosa che è ancora oggi”, ma “la commemorazione del 1953, che è stata sicuramente piuttosto modesta, ha avuto luogo durante un periodo antisecolare, un periodo di ritorno dei religiosi con il governo del Partito Democratico di Adnan Menderes (1950-1960), che ha proclamato nel 1956 a Konya (Iconio) che ‘la Nazione turca è musulmana’”.
Secondo Etienne Copeaux questa affermazione corrisponde al carattere della Turchia, “diventata de facto musulmana al 99% dopo il genocidio degli Armeni, le espulsioni dei greco-ortodossi e i pogrom degli ebrei, ed è diventata oggi il motto preferito dell’estrema destra turca. Quando l’islam politico ha ripreso il potere, dal giugno 1996 al luglio 1997, il Primo Ministro Necmettin Erbakan ha promesso ai suoi elettori la restituzione della basilica all’islam, ma non è rimasto al potere abbastanza tempo per mettere in pratica questo progetto. Dal 1994 al 1998, Recep Tayyip Erdogan, all’epoca sindaco di Istanbul, ha espresso lo stesso desiderio. È stato però deposto dall’Esercito nel 1998 ed è stato anche incarcerato per aver ‘attaccato il laicismo’”.
Molte delle misure di Erdogan a partire dal 2002, e soprattutto dal 2012, rispondono, secondo Etienne Copeaux, “contemporaneamente al perseguimento di un obiettivo politico che risale a più di 50 anni fa e a una rivincita della sua destituzione nel 1998. La preghiera di marzo è a mio avviso solo il culmine (per il momento modesto) di un lungo processo. Non dobbiamo vedere il regime di Erdogan come una rottura, perché è il risultato di una lunga corrente nazional-musulmana che non sempre è stata sotterranea”.
La maggior parte dei cristiani ortodossi di Turchia è stata espulsa nel 1914, poi nel 1955 e nel 1964, per non parlare dell’espulsione degli ortodossi dal nord di Cipro nel 1974. I cristiani rimasti sono “estremamente discreti, tenendo conto di quello che ha vissuto. Le reazioni del mondo ortodosso in Turchia possono manifestarsi solo attraverso il canale ufficiale del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, ma l’esperienza ha dimostrato che gli incontri tra il patriarca e le autorità turche sono in genere molto convenzionali e diplomatici”.
Secondo Etienne Copeaux è piuttosto probabile che il mondo ortodosso, dalla Grecia alla Russia, rimarrà passivo se la basilica venisse restituita al culto musulmano come nel 1453.