Il magistrato Mantovano sullo scontro Bonafede-Di Matteo e “l’Olimpo dell’antimafia mediatica”

Il magistrato Mantovano sullo scontro Bonafede-Di Matteo e “l’Olimpo dell’antimafia mediatica”

a cura della Redazione

 

NEL CAMPO DELLA GIUSTIZIA IL COVID-19 NON HA FATTO EMERGERE PROBLEMI NUOVI MA HA RADICALIZZATO ED ENFATIZZATO QUESTIONI CHE SI TRASCINANO DA ANNI

“Sarebbe riduttivo leggere la diatriba fra il ministro della Giustizia e l’ex P.M. Di Matteo decontestualizzandola da quella che fin dall’inizio della pandemia si è manifestata come l’emergenza nell’emergenza: e cioè la tragica situazione del sistema penitenziario italiano. Per il quale, come per ogni altro settore della nostra vita istituzionale, Covid-19 non ha fatto emergere problemi nuovi, bensì ha radicalizzato ed enfatizzato questioni che si trascinano da anni. Il peggio che può accadere è che, dopo che il Guardasigilli ha riferito in Parlamento e l’attuale componente togato del CSM sarà rientrato in sé stesso, la vicenda carceri riprenda a essere marginale, nonostante quello che ha manifestato negli ultimi due mesi”.

Così ha scritto su L’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla dottrina sociale della Chiesa,  il magistrato cattolico Alfredo Mantovano, citando i fatti e le date relativi alla querelle tra il ministro della Giustizia, l’esponente del Movimento Cinque Stelle Alfonso Bonafede, e il Pubblico Ministero Antimafia, dottor Nino Di Matteo, riportando i fatti in ordine cronologico (vedili qui).

Ecco le conclusioni del magistrato Alfredo Mantovano:

“Lo scontro Bonafede/Di Matteo si inserisce nel quadro appena riassunto. E’ sconcertante in sé, certo. Il ministro della Giustizia non ha chiarito le ragioni per le quali, una volta proposto all’attuale componente del CSM l’incarico di Direttore del DAP, ci abbia ripensato dopo appena due giorni. Il dr. Di Matteo non ha spiegato perché, se due anni or sono ha percepito l’interdizione di mafiosi alla sua nomina – fatto che sarebbe di elevata gravità – non lo ha segnalato o denunciato all’autorità giudiziaria: è agevole immaginare che se la vicenda avesse riguardato altri, ed egli ne fosse stato informato come P.M., avrebbe aperto un procedimento, in sequenza con quelli già avviati sul tema “trattativa”. Non c’è solo il tempo trascorso; vi è pure il mezzo scelto: non un rapporto a una autorità sovraordinata – dal Procuratore della Repubblica eventualmente competente al Capo dello Stato, che è pure presidente del CSM -, bensì un intervento telefonico in una trasmissione tv”.

“Ancora più sconfortante è però che al centro del dibattito politico oggi vi sia questo scontro, e non la situazione delle carceri italiane, la cui drammaticità resta inalterata; e, con essa, lo squilibrio istituzionale di una politica di deflazione penitenziaria che invece di essere fatta con leggi e azione di governo, passa da decreti e ordinanze. Se questi problemi reali fossero presi in considerazione nella loro drammaticità probabilmente non finirebbero in talk show domenicali, e non farebbero entrare nell’Olimpo dell’antimafia mediatica. Ma sono trascorsi un po’ di secoli da quando ci si è accorti che le divinità dell’Olimpo, così aduse ai capricci e ai dispetti umani, alla fine non erano tanto “divine”. E che per far ripartire la civiltà è meglio arare la terra e studiare”.

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