L’esorcista: “l’eucaristia salva il mondo, altro che sospendere le messe!”

L’esorcista: “l’eucaristia salva il mondo, altro che sospendere le messe!”

di Padre Massimo Malfer

LE RIFLESSIONI DI UN ESORCISTA VERONESE

“L’eucaristia salva il mondo, altro che sospendere le messe!”. Così si è espresso Padre Massimo Malfer, esorcista veronese, durante una meditazione spirituale.

Ecco il video.

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Caro padre Malfer,
ho trovato bellissima e confortante la sua meditazione eucaristica. Gliene sono profondamente grato, spero di incontrarla un giorno o l’altro a Verona.
Grazie,
Flavio Cuniberto

Grazie mille per la sua meditazione eucaristica cosa sta succedendo ??? I miei genitori hanno fatto la guerra e se vedono quello che sta succedendo si disperano per noi cristiani Che Dio ci salvi perché non siamo più liberi

Grazie caro padre Malfer, è proprio così che mi sento …un dolore sordo nel cuore x la mancanza dell’AMATO , non pensavo che da un giorno all’altro avrei provato tutto ciò è vero senza Messa non possiamo vivere …

l’Eucaristia e il cuore della fede e l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, e il corpo e sangue senza macchia donato per noi

Credo che quello che salva l’uomo sia la preghiera e l’umiltà. Certo che per un cristiano credente l’Eucarestia è importante, ma più importante è il modo e lo spirito con cui si vive ogni minuto. Se per un periodo non non ci si può accostare al Sacramento per salvare non tanto la propria, ma l’altrui vita, anche questa è una lezione di umiltà e di amore. Mi sembra incredibile che una cosa tanto semplice, tanto cristiana, non sia chiara. Se mi infettassi in chiesa, senza saperlo, poi andassi in giro ad infettare altre persone, che a loro volta infetteranno altre persone. Essendo madre, neanche la scelta di espormi al contagio riguarderebbe solo me, e se nella propagazione esponenziale del contagio, una persona che si è infettata da una persona che si è infettata attraverso me, le mie mani sarebbero sporche di sangue. Potrei non saperlo mai, ma sapere che esiste la possibilità che ciò accada, mi rende responsabile. Se questo non è nel Vangelo, allora forse non ho capito nulla. Ma se non è nel Vangelo, non vorrei più considerarmi Cristiana.

Da chi e perché è stata pronunciata questa frase e quale significato profondo è racchiuso nel termine latino dominicum, da spingere i martiri ad affrontare la morte piuttosto che rinunciarvi? Sono interrogativi che non si possono eludere se non si vuole ridurre questa espressione ad un incomprensibile slogan.

Abitene era una città della provincia romana detta Africa proconsularis, nell’odierna Tunisia, situata, secondo un’indicazione di S. Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda.

Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano, dopo anni di relativa calma, scatena una violenta persecuzione contro i cristiani ordinando che “si dovevano ricercare i sacri testi e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture, perché fossero bruciati; si dovevano abbattere le basiliche del Signore; si doveva proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore” (Atti dei Martiri, I).

Ad Abitene un gruppo di 49* cristiani, contravvenendo agli ordini dell’Imperatore, si riunisce settimanalmente in casa di uno di loro per celebrare l’Eucaristia domenicale. È una piccola, ma variegata comunità cristiana: vi è un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino, una vergine, Vittoria, un lettore, Emerito…

Sorpresi durante una loro riunione in casa di Ottavio Felice, vengono arrestati e condotti a Cartagine davanti al proconsole Anulino per essere interrogati. Al proconsole, che chiede loro se possiedono in casa le Scritture, i Martiri confessano con coraggio che “le custodiscono nel cuore”, rivelando così di non voler distaccare in alcun modo la fede dalla vita.

Il loro stesso martirio si trasforma in una liturgia “eucaristica”; tra i tormenti, infatti, si possono ascoltare dalle labbra dei Martiri espressioni come queste: « Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio… Ti prego, Cristo, abbi misericordia ». La loro preghiera è accompagnata dall’offerta della propria vita e unita alla richiesta di perdono per i loro carnefici.

Tra le diverse testimonianze, significativa è quella resa da Emerito. Questi afferma, senza alcun timore, di aver ospitato in casa sua i cristiani per la celebrazione. Il proconsole gli chiede: “Perché hai accolto nella tua casa i cristiani, contravvenendo così alle disposizioni imperiali? ”. Ed ecco la risposta di Emerito : « Sine dominico non possumus »; non possiamo, cioè, né essere né tanto meno vivere da cristiani senza riunirci la domenica per celebrare l’Eucaristia.

Il termine dominicum racchiude in sé un triplice significato. Esso indica il giorno del Signore, ma rinvia anche, nel contempo, a quanto ne costituisce il contenuto: alla Sua resurrezione e alla Sua presenza nell’evento eucaristico.

Questi 49 (*) martiri di Abitene hanno affrontato coraggiosamente la morte, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non venir meno all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale. Perché? non certamente per la sola osservanza di un “precetto” – visto che solo in seguito la Chiesa stabilirà il precetto festivo. Allora, perché? Perché i cristiani, fin dall’inizio, hanno visto nella domenica e nell’Eucaristia celebrata in questo giorno un elemento costitutivo della loro stessa identità. È quanto emerge con chiarezza dal commento che il redattore degli Atti dei martiri fa alla domanda rivolta dal proconsole al martire Felice: “Se sei cristiano non farlo sapere. Rispondi piuttosto se hai partecipato alle riunioni”. Ed ecco il commento: «Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano».

Il proconsole Anulino, al termine della giornata impiegata per gli interrogatori, 12 febbraio 304, e constatato la loro professione di fede cristiana, li fece rinchiudere in carcere. Negli Atti non è riportato come morirono, ma sembra che siano stati alcuni giustiziati, altri morti di fame e torture nel carcere, comunque in tempi diversi.

Alla luce della testimonianza dei martiri di Abitene acquista maggiore forza quanto scrivono i Vescovi italiani negli Orientamenti pastorali: «Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento» (CVMC 47).

(*) I nomi dei 49 SS. martiri, secondo il Martirologio Romano (Ed. 2004 p.198), sono:

Saturnino, sacerdote, con i suoi quattro figli, cioè Saturnino il giovane e Felice, lettori, Maria e Ilarione, un ragazzo; Dativo, o Sanatore, Felice; un altro Felice, Emerito e Ampelio, lettori; Rogaziano, Quinto, Massimiano o Massimo, Telica o Tazelita, un altro Rogaziano, Rogato, Gennaro, Cassiano, Vittoriano, Vincenzo, Ceciliano, Restituta, Prima, Eva, ancora un altro Rogaziano, Givalio, Rogato, Pomponia, Seconda, Gennara, Saturnina, Martino, Clauto, Felice il giovane, Margherita, Maggiore, Onorata, Regiola, Vittorino, Pelusio, Fausto, Daciano, Matrona, Cecilia, Vittoria vergine di Cartagine, Berettina, Seconda Matrona, Gennara.

Fonte principale: chiesacattolica.it (“RIV./gpm”).

Cara signora Pina concordo pienamente con quello da lei scritto. Vorrei aggiungere alcune considerazioni: molti tra cui anche ministri del culto non ricordano o non vogliono ricordare quanto scritto nel Vangelo di Matteo cap. 5, 1 e seguenti: basta essere nella propria camera e pregare con fede per essere in comunione con Cristo. E poi un’altra considerazione più “terrena”: stare un’ora o poco meno in continuo contatto con persone (anche con mascherine e ad un metro di distanza) comporta l’aspirazione di quanto emesso dal proprio vicino (o “lontano”). Glielo dice uno che ha lavorato nel campo del trattamento dell’aria negli ambienti per 45 anni. Nei luoghi di culto, come in tutti gli ambienti chiusi senza ricambi di aria dall’esterno con movimento forzato, l’aria rimane sempre la medesima e quindi inspirata ed espirata continuamente dai presenti. Nei supermercati, invece ci si muove continuamente, le persone sono ben distanti ed inoltre la totalità sono dotati di impianti di immissione di aria dall’esterno.
Non riesco effettivamente a capire questo incaponirsi sul fatto che si debba andare in luogo chiuso e sfidare maggiormente la sorte, quando si può benissimo essere in comunione con Cristo in qualsiasi luogo.

Bravissimo e pura verità

Caro con fratello sono d’accordo perfettamente, spesso soffro vedere come trattano Gesù che presente nel Eucaristia. Quando mi chiedono celebrare la Messa ad un altra chiesa.

La Santa Messa non è paragonabile con nessuna preghiera come incontro con cristo vivo.
Certo che in mancanza, la preghiera personale non deve assolutamente mancare, anzi aumenta.
I luoghi all’aperto per celebrare può essere una soluzione, con affluenza regolamentata.